28. L’addio

28. L’addio

Nessun giorno della mia vita spuntò per me così chiaro e sereno, né vidi mai davanti ai miei occhi brillare tanto il sole e splendere la natura, come il 10 giugno 1906, festa della Santissima Trinità. Fu quello il giorno stabilito dalla divina bontà negli eterni decreti del suo amore per rompere con un colpo solo, tutti i legami con il mondo e per andare ad offrire al Signore il sacrificio di tutta me stessa nella terra promessa della vita religiosa.

A ricordo di quel gran giorno conservo nel breviario, alla festa della Santissima Trinità, un cartoncino con la seguente iscrizione: «Die decima Junii 1906 eduxit me Dominus de terra Aegypti. Memorare maxima miseratione super pauperrima anima mea».37 Tutti gli anni recito, in ringraziamento alla Santissima Trinità, l’ufficio divino per questo grande beneficio che, quantunque lo ritenessi già molto grande, ora (avendomi il Signore accresciuto i lumi) vedo che non lo apprezzavo che in piccola parte. Spero più avanti di poter dire qualcosa in particolare sopra quello che il Signore mi fece intendere circa l’inestimabile dono della vita religiosa.

Congedo dalla madre

La sera o la notte precedente a quel grande giorno, si verificò la scena molto commovente dei «perdoni». Vedemmo la mamma inginocchiata davanti a noi e chiederci perdono per tutto quello che non aveva fatto nella nostra educazione e nel compimento dei suoi doveri di madre; ci disse che sperava che la santissima Vergine avrebbe rimediato alle sue mancanze, perché sempre ci aveva raccomandato a Lei. Povera mamma, con quanta umiltà fece tutto questo! Quanto emozionanti e dolorosi furono quei momenti per il mio cuore che tanto amava colei che rappresentava la mia Madre del cielo. Nello stesso tempo però godevo molto al pensiero che non rimanevano che poche ore per poter spiegar le ali fino al nido dei miei amori…

Non c’è felicità comparabile a quella di un’anima che, avendo ricevuto l’inestimabile dono della vocazione e sospirato e lottato anni ed anni per realizzarla, alla fine vede giunto il momento beato nel quale si realizzano tutti i suoi aneliti o meglio le segrete promesse che le andava facendo il divino Amante che la chiamò. «Non temere, sii fedele, lotta, avanza continuamente, non dubitarlo, giungerai ad essere mia; ti farò felice; vestirai la divisa dei miei privilegiati servi…». Quante volte risuonarono nel fondo della mia anima queste parole durante i lunghi anni dell’attesa, dopo aver udito il prezioso appello della santa vocazione!

Addio alla santissima Vergine

Desideravamo che il santo sacrificio della Messa celebrato all’altare della Vergine Addolorata accompagnasse il nostro sacrificio affinché, offrendolo attraverso le mani materne di questa dolcissima madre, fosse più accetto al Signore, ma non fu possibile. Il signor parroco ci disse che quel giorno aveva l’obbligo di celebrare per il popolo sull’altare maggiore. Ciò nonostante, in parte almeno, fummo consolate perché, quantunque la Messa fosse celebrata il giorno seguente, tutto il giorno la santissima Vergine rimase scoperta e rimasero accese le luci del suo altare, come abitualmente si faceva in alcune necessità particolari. Quel giorno era per chiedere la sua materna benedizione per la nuova vita che stavamo per incominciare e per esprimerle il nostro ringraziamento perché finalmente eravamo giunte, per sua mediazione, a veder realizzati i nostri desideri.

Eravamo sole mia sorella ed io davanti alla Vergine Addolorata, così teneramente devota che quando la si guardava sembrava di vederla piangere davvero e che facesse cadere le sue lacrime sopra quelli che con amore e compassione la guardavano. Quante volte abbiamo posto proprio lì nelle sue mani materne il problema della nostra vocazione e deposto ai suoi piedi le nostre pene, le nostre più intime aspirazioni, le nostre lacrime, come pure le nostre speranze! Era perciò giusto che pure lì le esprimessimo il nostro ringraziamento e la nostra consolazione. Ricordo che, vedendoci lì, alcune persone vennero a domandarci: «Sapete per quale motivo oggi hanno scoperto la Vergine?». Noi alzammo le spalle dicendo: «Forse qualcuno deve partire» (infatti solevano scoprirla in simili circostanze). Sì, era per un viaggio, il nostro viaggio dal deserto o dall’Egitto del mondo alla terra promessa della vita religiosa. Che Comunione e ringraziamento traboccanti di gioia e di felicità facemmo quel giorno!…

Addio a tutte le creature

Prima del pranzo, durante il quale prevedevamo qualcosa di triste da parte della mamma e di Assunta, andammo a fortificarci con una meditazione su Gesù che lascia la sua santissima Madre per andare a morire per noi, poi ci recammo a fare una passeggiata su una collina nei dintorni. Da quella altura contemplavamo il meraviglioso panorama che il sorridente giugno e l’ameno luogo offriva alla nostra vista. Tutto ci suggeriva vita e attrazione. Era il momento in cui tutti gli altri venivano lì a trascorrere i mesi del caldo e noi invece ce ne andavamo… Noi comunque ci sentivamo molto felici di abbandonare tutto per andare a rinchiuderci, per amore di Dio, dentro le strette mura di un convento ed iniziare una vita celeste in terra, preludio della vita eterna.

Da lì, guardando tutto quello che la nostra vista poteva raggiungere, ci congedammo dal nostro amato paese di S. Gemignano, da tutti questi luoghi che ci ricordavano tante cose affettuose, testimoni della nostra infanzia, della nostra giovinezza, dei nostri amori… Addio, dicevamo, solitarie passeggiate per quei sentieri, addio giardini dove andavamo tutti i sabati a raccogliere i fiori da portare a Gesù Sacramentato, addio amiche, addio bambine alle quali io parlavo di Gesù, addio ammalati, poveri, anziani che io andavo a visitare e ai quali portavo i miei piccoli risparmi, addio, addio a tutto. Più che ad ogni altra cosa, quando passammo davanti alla Cappellina della Vergine Immacolata, demmo l’addio alla nostra cara Madre. Lì presi la prima decisione di lasciare il mondo… Addio dolce Madre; noi non torneremo ad inginocchiarci qui, ma resteremo sempre con te ed anzi più unite da ora in poi. Chi si dona a Dio infatti non si separa da ciò che è buono; non lascia se non il male. A tutto il resto si unisce più strettamente, perché Lui è l’unico legame di ogni vera unione.

Durante il pranzo ci mostrammo moderatamente allegre, cercando di evitare per quanto si poteva, quello che poteva emozionare la mamma; ma come facilmente si capisce, risultò inutile. In un solo giorno nel focolare restavano due posti vuoti e lei rimaneva privata di due figlie. Passate alcune ore le sarebbe rimasta solo una figlia che, benché molto buona, non aveva per lei quelle attenzioni e delicatezze che hanno sempre verso i propri genitori quelli che hanno ricevuto dal cielo l’inestimabile dono della santa vocazione, perché sono spinti a operare e a sentire secondo lo spirito di Gesù Cristo.

Felice viaggio

Verso le tre arrivò la carrozza che doveva prelevarci. Molto volentieri vi saremmo salite subito, ma si dovette attendere che terminassero le funzioni della parrocchia, perché il parroco, nostro confessore, potesse venire ad accompagnarci con la mamma, come era stato stabilito. Quanto lunga si fece per noi quella mezz’ora di attesa! Quando arrivò, prendemmo insieme il caffè, ci congedammo dalla sorella che rimaneva in casa e salimmo in carrozza.

Durante il viaggio il nostro buon confessore parlava con la mamma, distraendola con cose indifferenti, mentre noi silenziose godevamo delle pure e veritiere gioie dell’anima che vola al nido dei suoi amori, dove l’attende il suo unico amato Bene. Allontanandomi dalle cose materialmente visibili mi sembrava che il Signore mi andasse iniziando sempre di più a quelle invisibili e spirituali. Andavo chiedendo allo Spirito Santo che purificasse la mia anima con il suo soffio divino e dopo vi prendesse intero possesso. Avevo imparato a memoria alcuni versi a questo proposito e li ripetevo interiormente con un ardore mai provato prima. Ora non ne ricordo che alcuni, perché, essendo passato molto tempo, me li sono dimenticati. Sono questi:

Addio creature, contenta vi lascio;

Non sono più vostra, né siete più mie.

Da tutto già sciolta io son del mio Dio.

Sì, tutta son tua, o caro Gesù.

Andate, o speranze e affetti terreni,

A render contento chi più vi desia.

Andate e partite dall’anima mia,

Io più non vi cerco, né voglio voi più…

Quanto mi sentivo unita a Dio! Quanta forza e vigore animava il mio spirito in mezzo a tanta fiacchezza e debolezza fisica. Quello che è, quello che può e quello che sente un’anima lo conosce soltanto chi lo sperimenta, senza poterlo dire, come allora succedeva a me. Attualmente il Signore mi ha reso invece capace di dire qualcosa per il bene di altre anime, ma per il momento non mi trattengo su questo particolare per non fare digressioni troppo lunghe, perché molto sarebbe quello che dovrei dire. È meglio che continui la mia storia, più avanti, se Dio lo vorrà, io mi fermerò su alcuni punti particolari.

Arrivati a Lucca, andammo a fare visita alla santissima Vergine conosciuta sotto il titolo di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, che si venera nella chiesa di san Leonardo. Qui era parroco il Reverendo Cianetti, confessore delle monache passioniste e più avanti anche nostro. Da lì la carrozza si diresse al convento. Quando eravamo già vicine, il nostro parroco fece fermare la carrozza ed ebbe la squisita attenzione di condurci ad un caffè dove prendemmo insieme per l’ultima volta un gelato. Voleva avere la soddisfazione di essere lui a pagarlo, ma la mamma si fece avanti per prima al cameriere. Noi, riconoscenti, dicemmo al parroco che quello che valeva era l’intenzione e con ciò restammo tutti soddisfatti.

La mamma, che temeva il momento della separazione dalle sue care figlie, sembrava (forse senza accorgersene) che volesse ritardarlo il più possibile. Entrò nella chiesa cattedrale di san Martino e lì, inginocchiata davanti alla statua miracolosa del «Volto Santo», senza alcun rispetto umano, come se fosse sola, disse ad alta voce, interrotta dalle lacrime: «Signore mi avete dato queste figlie; ve le restituisco. Voi sapete quanto mi costa, ma sono contenta di farlo per amor vostro». Il Signore dovette indubbiamente gradire molto quest’offerta di un cuore materno spezzato dal dolore, e sicuramente l’avrà ricompensata con la gloria eterna. Vent’anni dopo, lo stesso giorno, il 10 di giugno, la chiamò al riposo eterno.38

Finalmente nel chiostro!

Erano quasi le 7 della sera, quando giungemmo al convento. Le monache avevano ritardato di un’ora la cena per aspettarci. Mentre si informavano del nostro arrivo, mostrarono desiderio che entrassimo presto. Noi ci fermammo alla porta della clausura, che si aprì subito. Inginocchiate domandammo al confessore e alla mamma l’ultima benedizione, mentre le monache all’interno si posero in due file: da un lato le Francescane (alle quali apparteneva il convento), e dall’altro le Passioniste. Erano così ansiose di riceverci, come noi impazienti di entrare. Appena aprirono la porta, io, come se fossi un passero in gabbia, corsi dentro velocemente fino al giardino, gustando finalmente la libertà tanto desiderata.

I poveri e ciechi mondani chiamano prigione il convento, ma per me prigione, e molto dura, era il mondo. Lo è e lo sarà sempre, benché non vogliano capirlo specialmente coloro che vivono schiavi delle sue massime e delle proprie passioni. Sì, non c’è libertà più grande di quella di un’anima che, dentro le sante mura del chiostro e senza i disturbi dei famigliari e della parentela, scaricatasi dal peso delle preoccupazioni della vita, delle ricchezze, degli onori, lontana dalle illusioni e dagli inganni che ad ogni passo offre ai suoi amanti il mondo, si allontana da lui per darsi tutta e solamente al servizio del Signore. Per questo può ripetere con il Profeta: «Dirupisti Domine vincula mea, tibi sacrificabo hostiam laudis» (O Signore, tu hai spezzato le mie catene, a te offrirò sacrifici di lode; cf. Sal 115, 16-17). E il mio povero cuore si consumerà così nel fuoco del vostro amore tutti i giorni della mia vita come vittima di olocausto.

ALLA CHIESA DELLA MIA PARROCCHIA

(Rimembranze)

Sacro Tempio, ricordi soavi,

De’ prim’anni di mia giovinezza.

Io qui detti al Signore le chiavi

Del mio cuore, mia sola ricchezza.

Di quell’una conobbi qui il vero

Cosa sol necessaria per l’uomo.

Per raggiungerla presi il sentiero,

Tutto il resto lasciai in abbandono.

Qui, del coro di candide vesti

Invaghita d’amore quest’alma,

Feci voto, nei regni celesti,

Di portare dei vergin la palma.

Quante volte lo spirito mio

Qui volava del cielo ai festini!

Colla fede del caro mio Dio

Contemplava gli eterni destini.

Qui conobbi del mondo i sentieri

Esser tutti bugiardi e fallaci.

Qui la fede donommi pensieri

Dell’Eterno, sicuri e veraci.

Qui l’Angelico Pane gustai,

Prima volta ancor fresca bambina,

Giovinetta, ogni giorno tornai,

Di Gesù, qui alla Mensa divina.

Se di colpe quest’alma imbrattava,

Qui pentita imploravo perdono;

Col suo Sangue Gesù mi lavava,

Quel Paziente divin sempre buono.

Qui, nell’ore di nera mestizia,

A quest’ombra veniva a cercare,

Nelle pene la vera letizia

Che dispensa Gesù dall’Altare.

Qui, dall’Ostia, Colui che l’amore

lo nasconde nel candido velo,

Mi ferì con un dardo nel cuore,

Mi promise scoprirmisi in cielo.

Qui, di grazie, ripiena quest’alma

Rimirava per man di Maria.

Il tuo nome, nel ciel, sulla palma

Vo segnar, le dicea, Madre mia.

Ai suoi piedi, prostrata al suo altare,

In quei santi trasporti d’amore,

Io sentiva desio di volare

Su nel ciel, ad offrirle il mio cuore.

Qui, nel giorno che il mondo lasciava

Per entrare nella casa di Dio,

Un bell’inno di grazie innalzava

A colui che compì il voto mio.

Maria Maddalena


37 «Il giorno 10 giugno il Signore mi condusse fuori dalla terra d’Egitto. Ricorda la straordinaria misericordia (che egli ebbe) per la poverissima anima mia».

38 Il 6 luglio del 1926, la Madre Maddalena scrisse le seguenti parole al P. Arintero: «Quando ricevetti la sua ultima lettera (che è datata il 17 di giugno) il mio cuore era oppresso dal dolore, perché avevo appena ricevuto la notizia della morte di mia madre. Vostra Reverenza già conosce il dolore dato dal pensare che si sono chiusi per sempre gli occhi che tante volte ci hanno guardato con amore…, e che quella bocca che ci ha dato tanti baci non parlerà più… Solo la fede è capace di consolarci con la certezza che quelli che ci precedono non sono morti, ma si sono addormentati nel Signore, aspettandoci per svegliarci insieme quando Dio ci chiamerà alla vita eterna… Lo stesso giorno che morì si compivano vent’anni del sacrificio che fece delle sue due figlie. Ci accompagnò al convento, portandoci davanti alla Cattedrale di Lucca e lì —piangendo e a voce alta— pronunciò queste parole: «Signore, mi hai dato queste due figlie che ora ti restituisco. Sai bene quanto mi costa; però lo faccio volentieri per amore tuo». Ricordando ora queste parole, penso che questo sia un motivo sufficiente per sperare che Dio l’abbia portata in cielo a ricevere il premio di quel sacrificio. La sua anima può presentarsi senza timore davanti al Giudice divino dopo avergli dato due figlie per spose» (cf. Hacia las cumbres de la unión con Dios. Corrispondenza espiritual entre el P. Arintero y J. Pastor, Salamanca 1968, p. 256; J. PASTOR – G. ARINTERO, Al centro dell’amore. Corrispondenza spirituale 1922-1928, pp. 351-352).