Libro Terzo – La privazione della grazia sensibile

LA PRIVAZIONE DELLA GRAZIA SENSIBILE[1]*

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”(cf. Mt 27, 46)

Non dimentichiamo che siamo sul Calvario, ai piedi della Croce, a considerare le sofferenze che l’amore cagiona all’anima. Dalle parole che escono dalla bocca divina di Gesù moribondo, noi impariamo il valore e la necessità del dolore.

In esse si vede l’intensità della sofferenza quando è causata dall’amore, e come l’anima che ama Dio deve passare per essa, assomigliandosi così al suo divin Modello, stringendo sempre più in questo modo i legami che la uniscono a Lui.

Il dolore che sentono due cuori quando si separono l’uno dall’altro, è sempre proporzionale all’amore che li unisce. Ma è impossibile farsi un’idea giusta di questo dolore per mezzo dell’amore umano.

Spesso questo amore non è realmente tale, perché non è fondato sull’amore di Dio, ma è egoismo, e quindi incapace di unire con legami di vera intimità. Un solo amore esiste capace di formare l’unione vera: l’amore di Dio. Così che nessuno riesce a farsi un’idea di ciò che è il dolore della separazione se non colui che ama Dio.

Solo colui che ama Dio è capace di sentire l’immenso dolore dell’apparente abbandono da parte di Dio, quando viene sottratta la grazia sensibile. Questo soffrì Gesù sulla Croce quando disse: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (cf. Mt 27, 46).

Anima che ami: anche tu arriverai un giorno a dire queste parole. Non già con la bocca, che è poca cosa… e forse le hai dette più volte. Ma le dirai con una voce che uscirà dal più intimo del tuo essere, dove ti godevi con dolcezza quel Bene che amavi. Ora, invece, quel Bene si è nascosto ai tuoi occhi, con tutte le attrattive e gli incanti del suo dolce amore. Di quell’amore di cui Egli ti aveva dato già prova sicura con la fecondità con la quale te lo aveva arricchito… Ma quelle prove erano necessarie: senza di esse non sarebbe ora così dolorosa e proficua l’assenza. L’Amante divino è molto pratico e sa ben provare i suoi.

E’ un cacciatore molto abile. Nessuno come Lui conosce il tempo più opportuno per tirare la freccia che deve uccidere dando vita.

perchè mi hai abbandonato? A colui che non ha provato questi abbandoni, di cui stiamo parlando, potrebbe sembrare forse che non dovrebbero riuscire poi tanto penosi come si descrivono. Penserà che siano solo apparenti, non reali; e l’anima, sapendo che non è stata realmente abbandonata da Dio, non ha motivo di affliggersi tanto. Ma, chi è passato attraverso questi penosi crogioli dello spirito, non dirà così. Non lo dice santa Teresa di Gesù, che in queste prove dice di sé: “Tutti i doni di grazia che mi aveva fatto il Signore, non li ricordavo più; restava solo un ricordo come di un sogno penoso”. Da parte di Dio, questi abbandoni sono solo apparenti. Egli non abbandona mai l’anima, sempre che essa si umilii, lo cerchi e lo chiami. Ma queste verità non bastano all’anima per toglierle o diminuirle la pena. L’anima sa che ha meritato questo abbandono, e lo sente come se fosse reale e vero; e in certo modo lo è. Sebbene apparente quanto allo spirito, è un vero abbandono come fu quello di Gesù sulla Croce, quanto alla parte inferiore e sensibile. Così che l’anima, giunta a questo punto, può con verità dire, come Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

In realtà, tutti i modi e la maniere in cui si effettuano questi abbandoni, o assenze di Dio, confermano l’anima in questa verità e le fanno soffrire l’indicibile. Quando l’Amato se ne andò, non si accomiatò né disse parola. L’anima non era informata dell’ora, né poteva immaginare un motivo qualunque della sua dipartita, senza dire poi che mille pensieri penosi spuntarono nella sua fantasia e nel suo cervello turbato, per tormentarla crudelmente. L’anima si trova senza l’Amato, ma senza sapere né come, né quando, né perché si sia allontanato. E’ stato come l’allontanamento di uno che si sia disgustato: subitaneo, segreto, silenzioso, insensibile per lei. Fino al punto che ora l’anima arriva a dubitare se proprio stesse o no in compagnia dell’Amato e se godesse un tempo dei suoi amori, o se sia stata ingannata, e se sempre sia stata e starà senza di Lui. “E’ qualità delle cose spirituali nell’anima – dice san Giovanni della Croce – che quando l’anima sta nell’afflizione, le sembra che mai se ne libererà e che è ormai finito ogni suo bene”. Tutto il contrario accade, invece, quando è nella gioia. Questo accade perché – dice lo stesso Santo – il possesso attuale di un contrario nello spirito, rimuove naturalmente da sé l’attuale possesso di un altro contrario.

la causa dell’abbandono. Il passato godimento di Dio non riesce ora di conforto all’anima; anzi, la fa soffrire maggiormente. Dopo aver gustato le delizie del divino amore, niente e nessuno può più bastare a dare consolazione e conforto all’anima. Quando queste delizie le vengono a mancare, non le resta delle stesse che una forza occulta e segreta che la sostiene; ma senza mitigare affatto il dolore della privazione. Si ritrova sola e sente unicamente tutto il vuoto della sua solitudine, senza che qualcuno possa consolarla.

Se essa potesse dire a se stessa: l’Amato se ne è andato in tal giorno, a tale ora, in tale circostanza, per questo o quel motivo… Cioè: ho perduto le consolazioni sensibili del suo amore, la sua dolce presenza, alla tale ora, in quella occasione, mentre stavo in chiesa pregando, mentre parlavo oppure mentre mi occupavo di quel lavoro, oppure ero negligente e distratta nei miei doveri. Se l’anima potesse dire questo, ne avrebbe un certo conforto. Troverebbe un po’ di sollievo alle sue pene, perché, conoscendo la causa, o almeno sospettandola, potrebbe in certo modo rimediare alla sua mancanza, chiamare l’Amato e cercarlo là dove lo perdette. Ma no. In questi abbandoni non c’è altra causa che l’amore divino, il quale agisce con l’anima in questo modo per purificarla sempre più e poter meglio investirla con i suoi ardori. Così fa in modo che l’anima non riceva nessun conforto, nemmeno da questo lato.

E’ certo che, sospettando la causa che ha motivato l’abbandono del suo Amato, l’anima cercherebbe di rimuoverla, le costasse qualsiasi cosa, anche la vita; tanta è la forza con cui ama e aborrisce ogni male. Ma ordinariamente non succede così. Malgrado l’intensità del suo amore, l’anima resta tranquilla e serena nel suo dolore, senza andare correndo per le vie e le piazze in cerca di Colui che ama. E dove dovrebbe andare, se sta strettamente unita a Lui?

Bisogna tener presente che l’anima non è più a quel grado di tenero amore che in altri tempi la rendeva come pazza, senza ragione e senza controllo, a compiere vere pazzie. Allora l’Amato, allacciando con essa legami di amore, le faceva udire la sua voce. Bussava dolcemente alla porta, chiedendole con infinita dolcezza di aprirle, chiamandola sorella, amica, colomba… (cf. Ct 5, 2).

speranza. Ora, il Signore non se ne è andato per qualche infedeltà dell’anima, come forse successe in passato. Le ha solo nascosto il suo volto. Essa non sente le operazioni dell’amore, di quell’amore pieno di inspiegabili misteri, sempre nuovi, che le causano inconcepibili martìri. Tante cose le succedono senza sapere a che cosa attenersi, e tutto contribuisce a dare a questo comportamento dell’Amato l’aspetto di un vero abbandono, simile a quello del divin Salvatore nella sua ultima agonia. Non trovò conforto Gesù negli uomini, neppure nella sua stessa Ss.ma Madre, della quale prima tanto si compiaceva. Neppure trovò conforto nel cielo, che faceva il sordo ai suoi lamenti.

Ciò nonostante, Gesù si rivolge a Dio; lo chiama Dio e non Padre, perché l’anima, quando si trova in simile abbandono, non pensi che Egli ricorse a Dio perché era suo Padre. No: Gesù, in quel momento, per soffrire, era come se non fosse Figlio di Dio. Perciò, come Lui, anche l’anima che si trova in questo stato, a nessun altro può rivolgersi per implorare aiuto se non a quello stesso che è causa del suo dolore e può confortarlo, perché Dio è amore e non può non amare le sue creature. Così, dunque, si consoli l’anima e speri soltanto nel Signore, nelle cui mani si trova il rimedio alle sue pene. Non si affatichi a cercarlo nelle creature. Nessuno può darglielo e nessuno può capire il suo dolore. A questo punto conviene mettere in pratica quell’insegnamento della Sacra Scrittura: “Nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza” (cf. Is 30, 15).

La sua forza sta nel silenzio e nella speranza. Non c’è altro conforto per l’anima nel suo abbandono. Quando Gesù, Sole divino si nasconde, nessuno può dare luce all’anima che è stata una volta da Lui illuminata e ha sentito il suo calore. Tutto è tenebra e freddo intorno a lei. Queste stesse cose che legge qui, poco o nulla le serviranno. Più che per le anime che si trovano in questo stato, questi insegnamenti serviranno a quelli che devono consigliare e dirigere queste anime. Si ricordino questi che impegnarsi qui a cercare affannosamente di dare loro luce e conforto, non servirà a nulla. Non ne sono in grado, non possono. Non possono aiutarle quanto è necessario. Volerlo fare a forza moltiplicando parole, causerebbe loro altre pene, aggravando il loro dolore. Solo chi ha provato questo stato può compatire questa sofferenza e dare un po’ di sollievo, ma non durerà molto. Chi avrebbe potuto consolare Maria Santissima in quei tre giorni in cui perdette Gesù? Nessuno. Solo rivedere il suo volto e sentire la sua dolce voce.

predilezione divina. Ma non si deve pensare che per il fatto che non si possono consolare con parole e ragionamenti le anime che soffrono così, queste siano esposte a scoraggiarsi e tornare indietro. No, non c’è questo pericolo. Quando si vede che vanno avanti, fedeli ai loro doveri, sempre più amanti del raccoglimento e della solitudine, non è tanto facile che avvenga questa disgrazia. Non c’è da temere tanto su questo punto. Vale più lasciarle in pace che compatirle eccessivamente, come si fa nei dolori umani, quando, a volte, a forza di parole e ragioni, ci si vorrebbe sbarazzare di quelli che soffrono.

Queste sofferenze trascendono enormemente i dolori umani. Sono causate dall’amore. Non solo o principalmente da quell’amore generale, per il quale Dio manda a tutti qualcosa da soffrire per risparmiarci i castighi e le purificazioni del purgatorio.

Queste sofferenze sono causate da un amore di predilezione di Dio per l’anima. Amore tenero, intimo, delicato, amore di Padre amantissimo. L’unico rimedio, pertanto, è Dio stesso, il suo amore. Non resta, quindi, che lasciare queste anime sofferenti a Lui, che meglio di chiunque altro, pur nascosto, le sostiene e dirige, conoscendo i momenti e i tempi opportuni per dare loro il rimedio e il conforto nel loro dolore. L’unico bene che si può fare loro è ricordare loro alcune sentenze della Sacra Scrittura, dove appare che è proprio di Dio giocare in questo modo e nascondersi: fare come se non vedesse le loro sofferenze, né udisse i loro lamenti amorosi, e considerare tutto come da dietro le persiane, da dove contempla quelli che ama, compiacendosi delle loro ansie amorose… Diciamo loro che esse stesse chiedano all’Amato dell’anima loro dove Egli pascola, dove riposa nel pomeriggio: “Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio” ( cf. Ct 1, 7). Egli non tarderà a far sentire loro l’aroma dei suoi unguenti che consolano e rallegrano. Poche parole bibliche, appunto perché sono dello Spirito Santo, senza bisogno di commenti e di spiegazioni, gioveranno loro più di lunghi ragionamenti. Ciò che Dio ha detto negli Scritti Sacri è luce e nutrimento alle anime, specialmente a queste anime sofferenti di cui trattiamo, da Lui amate con predilezione. E’ in queste penose circostanze che bisogna dar loro la luce e l’alimento della divina Parola, essendo allora ben disposte a riceverla e giovarsene, pur rimanendone occulti gli effetti. Ma si conoscerà che questi effetti la Parola sacra li produce, perché comunica una forza virile che le anima e le spinge ad andare avanti per giungere a Colui che credono lontano, mentre dimora nel loro cuore.

Sarebbe di molto profitto che le stesse persone pie, dopo aver domandato ai loro direttori spirituali: “Avete visto l’amato del mio cuore?” (cf. Ct 3, 3), se vedono di non essere capite, com’è molto probabile, lasciassero i consiglieri che non fanno per loro e si servissero di alcuni di quei testi sacri, documenti infallibili e sicuri, capaci di sorreggerle più di tutte le parole degli uomini. Sarebbe così Dio stesso il loro direttore, e metterebbero in pratica la lezione che ci dà Gesù nel suo abbandono dalla cattedra della Croce, di invocare cioè e di ascoltare Colui dal quale sono state abbandonate. Ma non è opportuno fare così quando hanno un direttore che per prudenza ed esperienza merita piena fiducia, anche se talvolta credono di averlo tratto in inganno. Ancor meno opportuno quando non si tratta delle ultime purificazioni dello spirito, quando l’anima è portata da Dio in modo tutto particolare. Negli abbandoni che possono sopravvenire in periodi precedenti alle ultime purificazioni, l’anima ha molto bisogno di chi la sostenga, l’aiuti e illumini per non tornare indietro, credendo che tutto sia perduto.

proiezione della croce. Il Cuore amante del Salvatore non vuole privare i suoi del merito di questa sofferenza, nella quale l’amore si consolida e si purifica, come l’oro nel crogiolo. Ma, nello stesso tempo, come una madre affettuosa che assaggia prima la bevanda amara che è costretta a dare al figlio, Egli volle soffrire per primo per santificare la sofferenza e incoraggiare le anime che, un giorno, sarebbero state sottoposte a questa prova. E da allora in poi, in queste anime trovò conforto e sollievo al dolore infinito, causatogli dall’abbandono, reale ed eterno, in cui avrebbe dovuto lasciare altre anime, infedeli ed ingrate. L’amore alle anime fu la causa dell’abbandono di Gesù sulla Croce, che gli fece sentire il rigore della divina giustizia, fino al punto da strappargli quel lamento così doloroso. Che sentirà l’anima abbandonata per sempre dal suo Dio? Oh, terribile realtà!

Le vostre sofferenze, o anime fedeli, unite a quelle di Gesù, oltre che a purificare il vostro amore, tratterranno molte anime sulla via della perdizione eterna e le faranno ritornare fra le braccia sempre aperte di quel tenero Amante che muore in Croce per salvarle. Siate fedeli al Signore. Perseverate nel vostro cammino, o anime così provate, e non tarderà a brillare di nuovo la luce che illuminerà la vostre tenebre e vi farà vedere nel vostro cuore Colui che amate e invocate come se vi avesse abbandonate per sempre: “Se indugia, attendilo, perché certo verrà e non tarderà” (cf. Ab 2, 3).

nell’ora della prova. Sarebbe bene che le persone pie avessero sempre per le mani, per sé e per gli altri, alcuni di questi testi e li conoscessero a memoria, per l’ora della prova. Sarà questo, come abbiamo detto, quasi l’unico appoggio e conforto che Dio lascia loro nella notte della loro anima, ricordandosi che è il Signore, e non altri, che forma la luce e le tenebre: “Io formo la luce e creo le tenebre; faccio il bene e provoco la sciagura” (cf. Is 45, 7).

Grande incoraggiamento potranno avere da alcune parole della Sacra Scrittura a proposito dello stato in cui si trovano, come sarebbero le seguenti: “Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre” (cf. Sal 43, 23). “Io sono tuo, salvami, Signore” (cf. Sal 118, 94). E’ bene che ripetano anche le parole di Gesù moribondo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (cf. Sal 21, 2; Mt 27, 46). Questi umili lamenti, provocati dall’amore, piacciono al Signore e lo inducono a scoprire infine il suo amabile volto. Gridino e chiamino a gran voce per questo, fino a poter dire con il Profeta: “Sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci” ( Sal 68, 4). Ricorrano a Maria e domandino, a Lei che è sua Madre e deve saperlo: Dov’è l’Amore? Dov’è Colui che amo?

Per le anime che amano Maria, mistica luna, sarà breve e non molto oscura la loro notte. Ma breve e molto breve sarà sempre, senza alcun dubbio, questa mistica notte per le anime che hanno scelto il cammino dell’amore e della fiducia, e vanno a Dio appoggiate non sugli uomini, ma su Dio stesso e sulle sue parole.

Perché chi confida nel Signore sarà forte come Lui e capace, pertanto, di sostenere in poco tempo la stessa prova di altri che hanno bisogno di anni. Non si prolungherà più di alcuni mesi, e anche in questi non sarà una continua notte. Bastano a volte alcune settimane, alcuni giorni, e finanche poche ore, poiché l’amore è potente, capace, senza dubbio, di fare molto in un istante. L’Amore è Dio, Dio che opera, e Dio è “fuoco divoratore” (cf. Dt 4, 24). Il fuoco subito purifica e tutto trasforma in sé.


[1]* Cf. La Vida Sobrenatural, novembre 1928, pp. 298-305.