20. Lo vuole tutto!

20. Lo vuole tutto!

Se io volessi spiegare tutto il senso delle parole che intestano questo capitolo, come le intendo io, diventerebbe interminabile. Sono tante le pretese divine con l’anima beata che si è abbandonata all’amore di Gesù che non so da dove iniziare.

Voglio dire qualcosa perché nessuno di quelli che leggeranno questa storia (se il Signore dispone che un giorno si pubblichi) possa ingannarsi, con danno per la sua anima, non dando l’importanza che ha l’argomento che sto per trattare. È uno di quelli fondamentali per chi vuole veramente amare Dio e non illudersi. Lo vuole tutto. Sì, lo vuole assolutamente tutto. È un amante molto geloso e così geloso che non ce n’è un altro uguale. Ma occorre anche aggiungere che per primo Lui ci ha dato l’esempio: ci diede tutto e perfino se stesso.

Mutua consegna totale

Nessuno mai ci ha amato né ci amerà come Lui. Il fatto di esigerci totalmente è pure per amore e perché lo facciamo felice configurandoci a Lui. Per compiere la volontà del Padre, si consegnò in anima e corpo e per amore suo si sottomise agli uomini, che lo trattarono con molta crudeltà. Diede perfino potere ai demoni, perché facessero della sua divina persona tutto quello che volevano, come in effetti fecero. Allo stesso modo Lui vuole che faccia l’anima che desidera amarlo perfettamente. Lasciamo, dunque, questo desiderio, o prepariamoci a lasciar perdere tutto quanto è nostro: il nostro modo di vedere, la volontà, le nostre ripugnanze. Tutto deve scomparire per restare nella mano di Dio come tenera cera, alla quale Lui possa liberamente e senza la minima resistenza dare in ogni tempo e luogo la forma che gli piace e disporre di essa a suo piacere. Nessuno deve spaventarsi davanti a questo annuncio che sembra a prima vista molto doloroso e difficile. L’amore rende dolci le cose più amare e leggere le più pesanti.

Per togliere ogni spavento o brutta impressione che possono aver prodotto le mie parole in coloro che leggeranno, prima di narrare le privazioni e le morti che l’amore mi domandò, voglio dire loro qualcosa sul come Dio stesso va disponendo e inclinando l’anima a questi strappi dolorosi. Quando questa nota in sé qualche tendenza, desiderio, timore o affetto, sotto qualunque aspetto o pretesto si presenti, benché santo, avverte pure immediatamente che lì c’è qualcosa di suo e che questo qualcosa lo sottrae all’amore di Dio, al quale vuole appartenere interamente. È proprio dell’amore divino, quando si possiede pienamente, lasciare l’anima nel nulla e come attonita, senza desideri, né volere per nessuna cosa. Una volta fatto questo, può investirla di questo fuoco celestiale che la trasforma, fonde e quasi divinizza.

Rendendosi conto di questo, si sente come per istinto portata alle immolazioni, ai sacrifici, al patire. Benché questo non tolga alla natura il sentirlo, le dà però forza, quando giunge il momento, per immolarsi con piacere, vedendo in questo l’opera dell’amore che così esige e colui al quale desidera appartenere totalmente. Cadranno lacrime dagli occhi, si spezzerà il cuore di pena e di dolore, l’anima stillerà sangue, sangue di dolore, ma essa resterà ferma e ripeterà le parole dell’amore: Avanti! Essa vuole così, perché così vuole e chiede l’amore. Sente nel più intimo della sua anima una gioia così delicata e profonda che le dà forza e coraggio per tutto quello che l’amore le chiede e le chiederà, perché sa molto bene che la santità infinita del Padrone al quale appartiene troverà sempre qualcosa da purificare nell’anima che vuole amarlo alla perfezione.

Sarebbe necessario sperimentarlo per convincersi pienamente del piacevole e dolce martirio che produce. Io lo so perché ho avuto questa fortuna molte volte. Tra le molte cose che potrei dire, ne sceglierò qualcuna in particolare perché serva da sollievo e da incoraggiamento alle anime nel vedere questi giochi dell’Amante divino con coloro che lo amano. Tutto si conoscerà là in cielo, dove si scopriranno completamente (per nostro eterno godimento) le lotte e i trionfi dell’amore; tuttavia, per quanto poco, ci è gradito sapere pure qualcosa già fin da ora.

Rinunce che sono richieste dal Signore

Da quando il Signore mi concesse la vocazione religiosa, mi diede pure il desiderio di realizzarla in un convento lontano dalla patria e dalla famiglia. Mi attirava molto fortemente questa solitudine per suo amore, quest’allontanamento da tutti gli affetti naturali che erano per me come una necessità. Passando di persona attraverso regioni sconosciute, come si elevava il mio spirito e si riposava nel mondo soprannaturale! Trattai la cosa con i miei confessori e con altre persone che potevano aiutarmi nel conseguimento del mio ideale, ma l’amore stesso che mi produceva quegli affetti si impadronì presto del mio cuore e disse: «Sacrificamelo! Se a me è gradito il tuo desiderio, più proficuo per te è il sacrificio». E mi andava a chiudere tutte le strade, mi ostacolava tutti i passi, restavo sola o a camminare da sola. Alla fine, dovetti sacrificare questa mia aspirazione davanti a Dio, convinta che Lui si lascia incontrare soltanto quando lo si cerca nel modo che Lui vuole che lo cerchiamo, nel rinnegamento di se stessi e nel sacrificio. Per me non è stato un sacrificio da poco il vedere che mia sorella incominciava a preparare le cose per entrare in convento e così dovermi rassegnare ad entrare insieme nella stessa comunità. È vero che Nostro Signore, che conosceva l’immolazione che con ciò gli offrivo, mi consolò un poco facendomi comprendere fin dal principio che non saremmo rimaste a lungo insieme. Ma il sacrificio me l’ha richiesto ed io dovetti vincere me stessa per adempiere i suoi disegni, diversamente li avrei scompigliati.

In convento, durante i primi anni della mia vita religiosa, mi sentivo fortemente attratta da Dio alla vita interiore di intimità con Lui. A volte sentivo la necessità di una guida che mi orientasse verso quelle alte regioni nelle quali il mio spirito desiderava espandersi. Il Signore me la diede in quel sant’uomo che fu il P. Ignazio, guida fedele e sicura, ma mi sembrava che mi tagliasse le ali, non indicandomi altra via per andare a Dio se non quella del sacrificio, del lavoro, della lotta… Quanto poco mi parlava di Dio e delle dolcezze del suo amore, dei suoi effetti nell’anima e di come Lui sia l’agente principale della nostra santificazione! Se si fosse valso di questi mezzi, con il fervore che allora avevo, credo che mi avrebbe fatta volare a Dio. Comprendo che a me allora mancava ancora la virtù e che se mi avesse parlato di queste cose, sarebbe stato, come lui stesso a volte mi diceva quando gli manifestavo i miei fervori, un «voler volare senz’ali». Ora comprendo che a quell’epoca mi convenivano i suoi insegnamenti, e gli sono molto obbligata per la solidità con la quale m’incamminò verso il Signore. Comprendo anche che è un modo di guidare le anime molto arido e che forse non tutte lo sopporterebbero. Ora vedo la mano del Signore che desiderava liberarmi da me stessa e anche dalla direzione, alla quale (quando non c’è la virtù) uno facilmente si attacca per il gusto spirituale che queste cose sempre producono e non va direttamente a Dio con il mezzo più sicuro che è sempre il sacrificio e il rinnegamento di sé.

Un giorno sentii raccontare che un direttore aveva ordinato a una sua penitente di scrivere le cose della sua anima o fargli un resoconto scritto di tutto. Udendo questo, dissi: «Io lascerei subito il direttore che me lo ordinasse, e ancora di più se mi avesse chiesto di scrivere la mia vita, come è accaduto a diversi penitenti». Quanta imperfezione vedo ora in queste parole! Mi sembra che Gesù, nell’ascoltarmi, dovette ripetere quello che il nostro santo Padre (san Paolo della Croce) disse a un’anima alla quale chiedeva di entrare in monastero. Quando costei gli rispose infastidita che non voleva diventare monaca, lui le disse: «Non infastidirti che quando tu ti farai monaca sarai tu che lo vorrai!». «Non temere», avrà detto Gesù, «quando giungerà l’ora in cui ti si ordinerà di scrivere tutte le tue cose e la tua stessa vita, saprai chiaramente che sono io che te lo chiedo e, per farmi piacere e per adempiere la mia volontà, lo vorrai pure tu. Quando amerai di più, sparirà questo tuo volere e non volere, ossia la ripugnanza». Tutto viene meno davanti alla forza dell’amore divino che lo vuole totalmente. E così avvenne.

L’idea che avevo concepito della mia santificazione era quella di una vita tutta molto semplice e nascosta, di fedeltà nelle piccole cose, senza richiamare l’attenzione di nessuno, amando molto Dio nel segreto del mio cuore. Non mi piacevano i santi che erano stati superiori o fondatori. San Gabriele dell’Addolorata, san Giovanni Berchmans e santi del genere erano quelli che avevo scelto per modelli e mi attiravano e mi affascinavano sempre di più. Come loro dipendere sempre da altri, obbedire, tacere e lavorare, operando interiormente con purezza di intenzioni e con amore, tutto nel più intimo della mia anima. Il prezioso filo di puro amore che mi avrebbe unito al mio Dio, come il baco da seta nel suo bozzolo, senza che alcuna opera potesse richiamare l’attenzione su quello che avesse potuto apparire all’esterno, era il mio unico ideale e la mia attrattiva. Tutto questo mi sembrava così buono e così sicuro, che neppur lontanamente pensavo possibile qualcosa di diverso. In queste idee mi rassicurava il P. Ignazio, che pure camminava per la stessa strada. Il suo motto era: «Soffrire, tacere, immolarsi continuamente per essere fedeli nel compimento del proprio dovere».

Una volta, nel rendergli conto della mia anima, gli parlai molto di quanto mi attirava e mi affascinava la vita di san Giovanni Berchmans. Ed egli mi rispose: «Tutto quello che nella sua vita si legge che ha fatto questo caro santo, io le dò il permesso e la mia benedizione per farlo». Con questo mi incoraggiava a seguire e ad amare sempre di più la mia strada, aborrendo e sentendo forte ripugnanza per ogni altra. Ma tutte le ripugnanze le abbatte e le vince l’amore. Giunse l’ora stabilita da questo padrone senza rivali che vuole tutto per sé ed ecco ora la povera Maddalena è maestra, superiora e quasi direttrice di anime. In conclusione, colei che voleva restare nascosta sotto il moggio, si trova posta sopra il candelabro, senza poter fare altro se non chinare la testa e tacere. Ma aggiungerò che sono contenta di dare tutto a questo dolce e crudele tiranno: l’Amore.

Momenti di grande vergogna e confusione<!–[if supportFields]> TC “Momenti di grande vergogna e confusione” \l 1 <![endif]–><!–[if supportFields]><![endif]–>

Quando mi stampai il nome di Gesù sul petto, chiesi al Signore che nessuno sapesse nulla al di fuori del confessore. Il solo fatto di pensare che ciò fosse potuto succedere in caso di malattia (che cioè qualcuno fosse venuto a saperlo), mi rendeva quasi incerta se farlo o no. Alla fine lo feci, confidando il segreto alla mia Madre celeste, sotto il cui sguardo e protezione lo realizzai. Ma Madre e Figlio pensano alla stessa maniera; non hanno che un solo volere e quando vedono che un’anima vuole appartenere loro interamente e desidera soltanto di amarli, come buoni padri non fanno caso al dispiacere del figlio piccoletto, se vedono che da ciò può venirgli un bene maggiore. Gli asciugheranno le lacrime se sarà necessario, ma non gli risparmieranno quella pena, perché così lo chiede il vero amore. Ecco in quale modo, anche in questo, il Signore mi chiese il sacrificio ed io dovetti vincermi.

Diverse di noi eravamo costipate. Le infermiere ci offrirono tintura di iodio, che la maggior parte accettò senza resistenza; io lo rifiutai perché mi sembrava che non fosse necessario, ma mi costò caro. Saputolo, la Madre mi chiama e dice: «Madre Maddalena, lei non ha voluto lo iodio; venga qui che voglio dargliene io una bella pennellata sul petto perché di lei non mi fido». Udendo questo, io presi nelle mie mani il flaconcino per andarmene e le dissi: «Madre, Dio la ricompensi, lo faccio io, lo faccio io». La Madre mi trattenne ed incominciò ad aprirmi il vestito. Io reagii dicendo: «Madre, mi lasci, mi lasci, lo faccio io». Vedendo tanta ripugnanza, la Madre sembrò insospettirsi e mi disse molto seria: «Obbedisca!». Allora scoprii il collo ma coprivo il resto con la mano perché non si aprisse e venisse scoperta la croce che emergeva sopra il monogramma JHS. Ad ogni precauzione che io prendevo, la Madre sospettava sempre di più. «Voglio vedere quello che ha lì», disse lei. Io mi opponevo, ma improvvisamente mi venne alla memoria quanto successe a santa Margherita Alacoque, che in simile circostanza e come castigo per non aver obbedito subito, si vide, per quanto so, cancellato dal Signore il nome di Gesù che aveva impresso sul petto. Mentre mi sentivo morire di vergogna, aprii un poco dicendo: «Madre, non dica niente!». E lei, con tutta calma e tranquillità, vedendo di che cosa si trattava, si mise la sua lente ed esaminò tutto lentamente ed attentamente. Che momento passai! Se fossi stata in attesa della sentenza della morte, credo che non mi sarei trovata tanto spaventata e confusa: un po’ per il timore di aver mancato per non aver obbedito subito e un po’ per la grande vergogna e confusione che provavo. Ah Gesù mio, quanto è terribile e senza compassione il tuo amore nell’esigerlo tutto da coloro che vogliono amarti!

Non molto tempo fa, parlavo di queste esigenze dell’amore divino con una religiosa di questa comunità, la quale pure lei si era affidata per intero a questo dolce tiranno. Le raccomandavo o le ricordavo di procurare di restare sempre nella indifferenza in rapporto a tutto, perché diversamente, se avesse mantenuto qualche desiderio o ripugnanza e non l’avesse vinto, proprio in questo l’avrebbe messa alla prova il Signore. Aggiunsi che io lo sapevo per esperienza. Mi rispose graziosamente: «Perciò, Madre, quando ho qualche paura o pena, mi offro subito al Signore affinché non mi chieda quel sacrificio». Mi sorrise. «Ah figlia mia —dissi—, se lo fa per paura e non di cuore, non giova affatto la sua offerta. La stringerà Lui da quella parte che più le fa male. Non abbia paura. Dio non si sbaglia, e meno ancora il suo amore. Quando un’anima gli chiede davvero il suo amore, per poterglielo dare, Lui non risparmia nulla. Conosce molto bene quale grande tesoro sia. Per questo ha inviato sulla terra il suo divin Figlio. Questa è stata l’unica missione che gli affidò: accendere il fuoco del suo divino amore nei nostri cuori. Il nostro Padre Celeste altro non desidera tanto intensamente se non di vederla compiuta, anche se per questo dovesse vederci come vide il nostro Fratello e il Figlio suo, il nostro Signore Gesù Cristo: lacerato il cuore e fatta a pezzi e stritolata la nostra carne e perfino morire come Lui morì, come un malfattore sulla Croce».

Angustie per il timore che venisse identificato «J. Pastor»

Prima di terminare questo argomento, voglio parlare di un’altra morte che l’Amato divino mi domandò. Sebbene l’abbia lasciata alla fine è stata una delle più sentite e dolorose. Qualche volta, era tale la sua violenza, che stavo persino male e mi sembrava di morire per causa sua. La sofferenza è stata (moralmente) così grande che mi provocò autentiche agonie. Forse non mi si crederà, ma è la pura verità e mi è gradito ricordarlo qui. Se colui che per primo deve vedere questo mio scritto credesse necessaria da parte mia qualche riparazione, per le mancanze che forse ho commesso a questo riguardo, me lo dica prima che io muoia e se no che attenda dopo la mia morte.

Io dal cielo mi rallegrerò che altri conoscano le mie debolezze e le mie lotte con quest’Amante unico, che esige simili sacrifici, perché si incoraggino a ripetere le parole che io dicevo e che chiamo la canzone dell’amore perché comprendo che egli così lo vuole:

«Avanti! Sempre avanti, o morire.

Avanti o morire.

Così fece l’Amante della mia anima

morendo sulla Croce e nel dolore;

questa è la maniera di ogni anima amante

che vuole amare fino all’estremo istante

e morire al culmine dell’amore…».

Quando ricevetti dal Padre della mia anima, quel sant’uomo che si chiamava il P. Arintero, l’ordine di scrivere sia le cose della mia anima, come pure ciò che Dio mi faceva comprendere del suo amore e che poteva servire per il bene di altre anime, mi preoccupò, più che il fatto di scrivere, il timore che si arrivasse a conoscere chi era la persona che scriveva, perché le cose pubbliche difficilmente si possono nascondere. Quante lotte, e quanta paura invase la mia anima! Nell’esporre entrambe le cose al Padre, lui mi assicurò che, sebbene avesse pubblicato quello che gli pareva che avrebbe fatto del bene alle anime, io potevo stare tranquilla perché mai nessuno sarebbe venuto a sapere nulla. Me lo assicurò con parole così ferme e decise che mi lasciò quasi sicura che avrebbe mantenuto il segreto. Al di fuori di lui, nessuno avrebbe saputo nulla. Scrivevo nei ritagli di tempo che riuscivo a rubare alle mie occupazioni senza venir meno ai miei doveri. Consegnavo gli scritti direttamente a lui, nelle sue mani, oppure glieli facevo pervenire acclusi nella lettera riservata di coscienza che li inviavo mensilmente e così mi sembrava di poter stare tranquilla. Effettivamente, diversi scritti furono pubblicati e nessuno seppe nulla. Con ciò mi rafforzai nella speranza che si sarebbe mantenuto perfettamente il segreto. Quando si pubblicò tutto insieme (i primi dodici articoli, in un opuscolo intitolato «La santità è amore») e vidi che faceva molto bene alle anime e che, benché ci fossero commenti a riguardo dello pseudonimo («J. Pastor»), nessuno immaginava neppur lontanamente la sua origine, mi feci molto coraggio nel porre mano a scrivere la seconda serie.50

Un inverno, nel Capitolo la Rev.da Madre Gertrude, Superiora, commentò vari punti del citato opuscolo, lodando l’autore, incoraggiandoci a mettere in pratica quella dottrina così semplice e bella e alla portata di tutti. La sottoscritta che udiva questo, stava in un angolo, con il volto coperto dal velo, ringraziando il Signore che mediante questo vile strumento (che ero io) voleva fare del bene alle anime. Gli chiedevo nello stesso tempo di rimanere sempre così coperta e nascosta e che nessuno, almeno prima della mia morte, venisse a sapere mai nulla. Dio non ascoltò la mia preghiera; sicuramente gliela facevo con troppo desiderio di ottenere e senza la santa indifferenza che nostro Signore ci insegnò e con la quale dobbiamo concludere le nostre preghiere: «fiat voluntas tua».51 Vuole che i desideri della nostra anima si fondino in uno solo: amarlo e farlo amare e per questo essere disposte a tutto. Nell’offrirmi e nel consegnarmi a Lui, o meglio, nel rinnovargli il mio affidamento, io vedevo perfettamente che in questo caso io non ero né indifferente, né abbandonata e presto venne a svuotarmi da quel mio che toglieva spazio al suo amore in me.

Il buon P. Arintero, senza alcuna malizia, o per necessità con quelli che lo aiutavano nel lavoro, lo disse in segreto a qualcuno. Da uno passò all’altro e la cosa venne ad essere conosciuta da persone di fuori, che incominciarono a parlare commentando il fatto ciascuno a modo suo. Quando questi commenti giunsero ai miei orecchi, non so quello che provai, perché mi è impossibile descriverlo. Saperlo quelli di fuori e ignorarlo quelli di casa! Non ero io religiosa e suddita? Cosa avrei risposto a che mi avesse domandato? Mi lamentai davanti al Padre, riferendogli il mio imbarazzo quando mi parlavano di questa cosa e mi chiedevano se era vero che si trattava di me, oppure se conoscevo questo autore. Lui mi disse di rispondere che io non avevo scritto nulla per la rivista, se non qualche traduzione o copia; «dato che —aggiunse— la maggior parte delle cose sono come dei rendiconti di coscienza che lei fa per me e se io pubblico qualcosa per il bene delle anime, lei non scrive con questa intenzione, ma soltanto per me».

Così feci, ma i curiosi non rimanevano soddisfatti con questa risposta, e le domande che mi facevano erano tante e così indiscrete, che spesso mi trovavo in imbarazzo oltre ad avere non minori inquietudini e turbamenti di coscienza. Ogni nuovo articolo che veniva pubblicato era per me una nuova fonte di dispiaceri. Venivano al convento per chiedere alla Madre di poter parlare con la monaca che l’aveva scritto, e siccome essa non sapeva nulla, arrivavano le domande e le indagini. Quanti imbarazzi e dispiaceri dovevo passare! Arrivava poi il timore di aver commesso una colpa per averlo negato o di essere proceduta con frasi ambigue, tergiversando per nascondere la verità. Mi sembrava di offendere Dio e non potevo neppure confessarmi bene, perché non volevo dir nulla al confessore. Alla fine il Padre mi disse che potevo riferirlo al confessore per mia tranquillità. Quanta vergogna provai e provavo quando a volte dei religiosi o dei sacerdoti mi dicevano che, se ero io che scrivevo tali cose, avrei potuto andare a predicare, poiché sapevo di più di un predicatore e mi domandavano chi mi insegnasse quei testi latini. In casa, quando mi trovavo in cella, pensavano subito che stavo scrivendo, anche se non era vero. Immediatamente mi tempestavano di domande per sapere che cosa facevo, per vedere la mia risposta. Offrivo tutto al Signore e pensavo: Ah, quanto costa lavorare e fare del bene alle anime! Solo il pensiero di conseguire questo, mi dava la forza per continuare ad obbedire al Padre che mi ordinava e rinnovava l’ordine di scrivere.

Un anno dopo che era partita la Rev.ma Madre Gertrude, con la scusa del mio onomastico, le religiose mi fecero una festa, secondo l’usanza. Nel presentarmi le felicitazioni recitarono alcuni versi e parafrasarono le parole: «La santità è amore», titolo del mio primo scritto. In questo modo confermavano tacitamente che conoscevano la sua origine.

Quei versi dicevano così:

ALLA NOSTRA AMATA MADRE

Oggi la sua santa penitente

Ai piedi del Salvatore

Ci dice con voce potente:

«La santità è amore».

Sì, ripete: sono testimone

Di questa sublime verità:

«Che è amore la santità».

E il santo Padre Arintero,

con piacere inebriante,

Lo dice davanti al cielo intero:

«La santità è amore».

Unite a lui, in coro

Queste figlie in suo onore

Ripetono la frase d’oro:

«La santità è amore».

22. 7. 1929

Terminata la recita di questi versi, ringraziai e finsi di non intendere l’allusione. Ah, se avessero visto quelle buone figlie il mio intimo, mi avrebbero risparmiato quella sofferenza in un giorno che loro volevano che fosse soltanto di gioia e di allegria!…

In altre circostanze mi fecero qualche domanda apertamente sull’argomento; io ordinai loro di tacere e ingiunsi che non si azzardassero mai più a infastidirmi su questo punto, perché io avevo già risposto loro molte volte. Obbedirono, non dicendomi più nulla, ma io sapevo che tra loro ne parlavano e facevano commenti, specialmente quando in refettorio si leggeva qualcuno di quegli articoli; allora si voltavano verso di me o si guardavano l’un l’altra ridendo.

Un giorno, in cui stavano leggendo uno di questi scritti, io intenzionalmente feci la nesci come se non sapessi quello che leggevano e per mascherare ancora di più, presi la rivista nelle mie mani e incominciai a leggere io, con tutta indifferenza. Il cuore e la voce cominciarono a tremare, volevo continuare, ma non potevo e se smettevo, appariva ancora di più. Le religiose si resero conto ed io pure di ciò che passava in loro. Ah, che momenti passai! Fu tanta la violenza che mi feci e la sofferenza dell’anima, da trovarmi tutta intrisa di sudore.

Gesù mio, vada tutto ad unirsi al sudore di sangue che Tu spargesti per amore mio e per redimere le anime. Tu, che sei l’unico che conosce tutte le mie lotte e agonie, accetta le sofferenze di questa miserabile e concedimi quello che ti chiedevo in mezzo a quei dolorosi momenti: Gesù, dammi amore e di poter farti amare dalle anime. A questo prezzo accetto tutto, dato che senza il dolore non è possibile avvicinarle a te, né amarti, né farti amare.

A volte, quando mi prendeva il timore di mancare o di aver mentito per nascondere la verità, dicevo al Signore: «Puniscimi, se pecco. Accetto con piacere qualunque castigo in cambio di farti amare». Manifestai questo timore al P. Lozano, perché qualcuno mi rinfacciava che dicevo bugie. Mi preoccupava il fatto di aver potuto dare scandalo e che avrei poi dovuto scontarlo nel purgatorio. Mi rispose con la serietà del direttore e teologo e con l’affetto del Padre: «Le sembra un purgatorio da poco la sofferenza che sta passando?…». Queste parole mi consolarono tanto, che frequentemente le ricordavo a Gesù e gli dicevo: «Fa’ che il tuo ministro non rimanga male. Lui mi ha detto questo, credo che parli in tuo nome. Non mandarmi allora in purgatorio; il tuo amore faccia di me ora tutto quello che vuole, ma quando muoio chiamami direttamente a Te. Te lo chiedo per quell’amore per il quale moristi per me sulla Croce e per il desiderio che hai di unirti alle tue povere creature. Non negarmelo, perché l’ho sperato e lo spero per la mediazione della nostra dolce Madre Maria santissima».

Ho sentito dire che Gesù ha il diritto di chiedere tutto alle sue creature, perché è Lui che ha dato loro tutto quello che hanno. Io però, Gesù, non voglio che tu mi chieda, ma che Tu lo prenda, perché te l’ho dato tutto e tutto ciò che è mio è tuo. Non c’è amore senza reciprocità di prove. Tu mi hai dato tutto, compreso Te stesso: tu ti consegni tutti i giorni a me nella santa comunione e in ogni istante mediante la grazia. Prendi, dunque, tutto; so che è il tuo amore, che mi spoglia e l’amore prende soltanto per poter dare cose migliori.


50 I molteplici articoli della Madre Maddalena apparsi nella rivista «La Vida Sobrenatural» sul tema dell’amore di Dio furono raccolti e pubblicati in un grosso volume dopo la sua morte, ordinati secondo il contenuto e lo sviluppo omogeneo, con lo stesso titolo dell’opuscolo di cui si parla in queste righe dell’autobiografia. Cf. J. PASTOR, La santidad es amor. Obras espirituales completas, a cura di P. Sabino Martínez Lozano O. P., Salamanca 1963, pp. 596. Per la traduzione parziale in italiano: cf. La santità è amore, Roma 1989.

51 Cf. Mt 6, 10; 26, 42: «Sia fatta la tua volontà».