44. La mia vita interiore

44. La mia vita interiore

Dopo aver parlato della mia vita esteriore, è bene che io dica qualcosa dello stato interiore della mia anima all’epoca in cui ci troviamo. Il Signore mi conduceva attraverso un cammino diverso da quello dei primi tempi della mia vita religiosa, come già feci notare dopo la mia professione. I sostegni e le consolazioni che mi lasciò, benché santi, penso ora che dovessero intrattenermi, come i giocattoli intrattengono i bambini, nel cammino verso il Calvario dove il mio sposo divino mi attendeva. Quando mi vidi sola, mi sembra di aver fatto come quello che, dovendo inoltrarsi in una strada sconosciuta e trovandosi senza guida, volge il suo sguardo intorno e, non vedendo nessuno, la brama di arrivare alla meta anelata gli infonde una forza mai provata prima e con questa si dirige ciecamente e senza paura là dove lo porta il cuore.

Sola con Dio nella fede pura

Le creature sono sempre creature, dissi tra me, se non è oggi sarà domani, esse mi dovranno abbandonare e io dovrò comunque restare sola e quindi o fidarmi di Dio o rinunciare alla santità. Quest’ultimo no, mai! Voglio andare avanti, voglio farmi santa, mi basta soltanto Dio e chi Lui vuole darmi; non chiedo consolazioni né da lui né dalle creature. Di fatto, mi vidi spogliata di esse, di ogni attrattiva sensibile. Dovetti andare avanti in pura fede, accontentandomi di poche parole della Madre e del Padre Ignazio, sufficienti per darmi sicurezza, ma non per darmi qualche soddisfazione sensibile. Le parole del Padre, tanto a viva voce come per iscritto, erano di solito poche, fredde e secche, ciononostante (ciò è dovuto senza dubbio alla sua grande santità) mi lasciavano sempre sicura e contenta. Però, lo ripeto, in pura fede, lasciando cadere tutto ciò che era mio. Pensando e credendo sempre che Dio mi parlava per bocca del suo ministro e che quello che mi diceva era quello che il Signore voleva da me.

Succedeva spesso che io gli dicessi le cose della mia anima ed egli mi tagliava la parola dicendomi: «Lascia, questo non è necessario». Io me ne rimanevo zitta immediatamente. Se avessi replicato con una sola parola, quando mi diceva questo, mi sarebbe sembrata una mancanza molto grave. L’obbedienza il Signore me la domandava cieca e pronta e così io cercavo di fare.

Non posso capire come se ne possano restare contente e tranquille certe anime che si fanno ripetere tante volte le stesse cose dalle guide del loro spirito e che trattano con loro con tanta confidenza, o meglio con artifizi, perché concedano loro quello che esse vogliono e perché le stiano ad ascoltare, non quanto sanno che è necessario, ma per tutto il tempo che esse vogliono, perché dicono: diversamente, io non sono contenta. Poverette! Ben poco potrà durare la contentezza che avete ricevuto dal vostro amor proprio soddisfatto.

La vera e durevole gioia risiede nella rinuncia di sé e nella fede nelle parole di chi ci parla in nome di Dio. Molte di quelle anime che io conosco non sarebbero potute rimanere sotto la direzione del Padre Ignazio nemmeno per pochi mesi. Io, per la grazia del Signore, vi rimasi per tutto il tempo che restai in Italia e la sua direzione fu certamente molto proficua per la mia anima, poiché quel santo religioso moderò e mortificò il mio ardente temperamento, contrariandomi e trattenendo i miei ardori. Quando gli scrivevo in breve, mi diceva che non aveva capito bene qualche punto, e che per questo non poteva rispondermi, se invece gli scrivevo in lungo, mi obiettava che non erano necessarie tante spiegazioni. Se gli parlavo dell’amore di Dio, temeva che non avessi posto nemmeno il fondamento delle virtù e mi inculcava la pratica delle stesse, dicendomi che non mi illudessi di possedere già quello che desideravo, poiché mi trovavo ancora molto lontana.

Venerazione verso i superiori

Questo modo di fare, senza dubbio, mi frenava un poco e a volte forse mi produceva anche qualche momento di scoraggiamento. Dico momento perché, per poco che riflettessi, subito capivo che il Signore così disponeva per il mio bene e che quello era ciò che mi conveniva per domare il mio temperamento vivace e focoso. La grazia di Dio, sempre così abbondante sopra la mia anima, mi sosteneva, perché, nel vedermi privata delle attrattive esteriori, concentrassi le forze e le energie del mio spirito a purificare e a santificare i miei atti interni, i desideri, le intenzioni, gli affetti, affinché tutto venisse regolato da un principio di fede e di amore di Dio.

In queste due grandi virtù: fede e amore, mi sembra di essere avanzata abbastanza in questo periodo della mia vita, che era come una preparazione ai sacrifici che il Signore presto mi avrebbe domandato. Cercavo di nascondere le mie buone opere, i miei sacrifici e le mie intenzioni, vedendo in tutto il Signore, ma in modo speciale nei miei Superiori e nelle mie consorelle. Mi sentivo indegna di vivere con loro e felice di poter far loro qualche servizio, come il tenere sempre ben puliti dalla polvere i banchi del coro, quando ero sacrestana, sistemare i sentieri del giardino ecc., pensando che dovevano trovarsi o passare da lì le spose di Gesù, che io consideravo come regine.

Verso la Madre però, la mia fede e il mio rispetto erano grandissimi, irraggiavano venerazione. Molte volte passando dalla sua cella o dalla stanza dove lei stava scrivendo, mi inchinavo e mi inginocchiavo, anche se la porta era chiusa e non la vedevo, come facevo quando passavo vicino alla cappella e salutavo Gesù Sacramentato. Che consolazione mi dava quando, mentre stavo sola a lavorare nella cella, passava la Madre per la visita prevista dalla Regola! Nell’istante stesso che la vedevo, le andavo incontro, mi mettevo in ginocchio per ricevere la benedizione, le baciavo la mano: la sua presenza mi riempiva di consolazione, poiché nella sua persona vedevo Dio e la Vergine santissima Addolorata che lei rappresentava. Una volta per una indisposizione che mi aveva fatto rimanere a letto, l’intera giornata passò senza che la Madre venisse. Mi sembra che stessi come desiderando che lei venisse e così ricevere la sua benedizione, poiché non potevo lasciar passare giorno senza vederla. Durante la notte, quando la comunità era in coro per l’orazione e io ormai non potevo più pensare di avere questa consolazione, me la vedo apparire davanti silenziosa!… Quanta gioia mi produsse! «Oh, Madre —le dissi—, unde hoc mihi? Unde hoc mihi?».64 «Mi manda il Signore», disse. «Mi rallegro che lei lo veda e lo riconosca nella mia povera persona». Queste consolazioni me le offriva la fede con la quale guardavo tutte le cose.

Una volta andai a fare un colloquio spirituale con il Padre Ignazio, che era venuto apposta da Roma, dove risiedeva. Per trarre maggior profitto della sua visita, dato che erano così rare, avevo preparato una lunga lista di cose da dirgli, che mi ero progressivamente appuntate a partire da alcuni mesi prima. Dopo averlo salutato e chiesta la benedizione, aspettavo di poter incominciare il mio colloquio, ma senza darmi il tempo lui stesso mi domandò alcune cose e subito dopo mi disse: «Una volta san Luigi Gonzaga andò a colloquio o a rendere conto del suo spirito da san Carlo Borromeo. Questi, prima che Luigi incominciasse a parlargli, gli disse: «Figlio mio, tutto va bene, vai pure avanti». Lo stesso io dico a lei: vada pure avanti, Dio è contento». E io pure me ne andai contenta, nonostante che la mia lista fosse rimasta tutta sulla carta, senza aver potuto chiedere nulla. Me ne andai senza la soddisfazione che aspettavo, ma con un’altra più grande, poiché questa era la sostanza e l’essenza dell’altra che io cercavo.

In questo modo il tratto secco e un po’ austero o duro di questo santo direttore, mi era proficuo e persino necessario per esercitarmi nelle virtù più fondamentali della perfezione. Certamente io dovevo stare prevenuta o preparata con lo spirito di fede tutte le volte che andavo a trattare con lui, per abbassare la testa e mantenere la bocca chiusa nel ricevere quelle risposte secche come: «Si, No». Egli non dava alcuna spiegazione quando gli chiedevo se potevo leggere qualche libro o se avevo fatto male o bene la tale o tal’altra cosa.

Confesso che, senza questo spirito di fede che Dio mi diede e se non avessi avuto un grande desiderio di santità e di rinuncia a me stessa, non avrei potuto resistere a questa maniera di rapportarsi così spoglia di ogni attrattiva sensibile. È così dolce e gradevole quando l’anima sente la necessità di aprirsi, di sfogarsi nel cuore di chi rappresenta Dio e parla in suo nome, che quasi scompaiono le prove alle quali il Signore possa sottometterla o almeno diminuiscono considerevolmente. Comprendo che non è questa la grazia maggiore; superiore è quella di dar forza all’anima, perché lo ami e lo serva senza questi allettamenti, ma unicamente in pura fede. Rendo mille grazie al Signore che si degnò concederla, mi pare, a questa miserabile. Se non fosse stato così, credo che non avrei continuato ad avanzare in questo modo, essendo io tanto vivace ed espansiva e vedendomi privata di queste consolazioni che mi sembravano tanto sante e tanto giuste.

Anemia corporale ed aridità spirituale

In questo tempo il mio corpo, pur sempre debole, cadde in una anemia molto profonda che mi produceva frequenti malesseri e forti dolori di testa che mi impedivano di compiere la santa osservanza. Sembra che tutto si accumulasse per indebolirmi ed annientarmi. Tutto questo si verificò negli anni 1910, 1911, 1912. Conservo alcune lettere di Padre Ignazio di questo tempo che vi fanno allusione. Voglio trascriverne qui per intero una, la quale mentre rivela lo stato della mia anima mostra pure la saggia direzione, benché forte e per me un po’ penosa, di questo santo uomo di Dio.

«Montemarsi (Grosseto), 19-1-1912

Carissima consorella Maria Maddalena, La compatisco nella prova, molto dura, nella quale si trova. Ora è venuto il momento di studiare e mettere in pratica le massime di santa Teresa: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi, tutto passa, Dio non muta; con la pazienza tutto si ottiene. Chi ha Dio nulla gli manca; solo Dio basta».

A questo io aggiungo: non dia ascolto a nessuno di questi pensieri che le vengono, sotto qualunque aspetto le si presentino; tanto ai buoni come ai cattivi, a quelli di consolazione come di sconforto. Allo stesso modo si comporti con i pensieri di bestemmia come con quelli di disperazione, tanto verso la Madre Presidente, come verso le Sorelle, il confessore o qualunque altra persona.

Ripeta spesso con la mente e con la voce: Voglio Gesù! Voglio lui solo! Solo lui mi basta! Questo non le toglierà la sofferenza, lo capisco, ma, fino a quando sarà? Quanto durerà? Oh, anche se supponiamo che duri tutta la vita, quanto sarà lunga questa? Potrebbe essere non più lunga di un momento, giacché la nostra vita è nelle mani di Dio e noi possiamo morire da un momento all’altro.

Le verrà in mente: ma allora si deve vivere sempre in croce? Pensi a Gesù e alla Vergine santissima: Crucifixa Crucifixum concepit.65 Però in fondo al nostro cuore si farà sentire quella massima che Dio cruciat quos amat.66 Qui c’è, infatti, la vera consolazione.

Con la fiducia che queste mie parole le servano per abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio, senza pretendere di conoscerla, passo a benedirla con tutto il cuore, esortandola a rinnovare spesso la professione dei santi voti, ad invocare tra i suoi santi protettori in modo speciale san Giuseppe, sant’Anna, san Gioacchino, san Giovanni Battista, san Giovanni Apostolo e tutti i santi Apostoli, perché è molto gradito alla santissima Vergine che si abbia confidenza nei santi che così da vicino le appartengono.

Saluti alla Madre Presidente e benedizioni a tutte.

Suo affezionatissimo in Cristo Ignazio di santa Teresa».

Nonostante che io non cercassi le consolazioni, quando mi scriveva il Padre, io leggevo le sue lettere con molta fede, come se venissero dal cielo e non lasciavano di consolarmi e di darmi la certezza di cui avevo bisogno per andare avanti. Certamente sentivo la privazione di quelle consolazioni che avevo prima, come pure la solitudine e l’abbandono in cui mi vedevo e ancor più in cui si sentiva la mia anima. Da lì derivavano i timori di aver offeso e di offendere il Signore e che lui si fosse disgustato di me, timori sui quali io avevo bisogno di consultarmi per tranquillizzare la mia anima. Il Padre rispondeva subito alle mie domande, segno questo che lo riteneva meritevole, perché non faceva attendere per niente: a volte al terzo giorno avevo già la risposta. Era così puntuale e preciso in tutto che in tutti i suoi atti così ordinati rivelava la grande perfezione della sua anima. Le sue lettere erano però per me sempre laconiche, brevi e fredde. Non so se erano veramente così o sembravano tali a me per lo stato in cui mi trovavo; certamente quando Dio non vuole dare, le creature non possono farci nulla. Una lettera che ricevetti un mese dopo quella appena citata, dice come segue:

«L’Angelo, 21 febbraio 1912»

Carissima consorella Maria Maddalena, Deo gratias67 per il fatto che lei si esamina per conoscere se fa quanto le è stato consigliato, però non deve pensare che un simile rimedio produca un effetto immediato per togliere tutto il male. Si è soliti dire che il male viene a quintali, ma che se ne va a grammi. Lei faccia in questo modo: pensi ai suoi peccati soltanto quando va a confessarsi, e non tema di star commettendo peccati in tutti i momenti. Se lei si sforza di obbedire, stia tranquilla, poiché i peccati avvertiti non li farà più. Il demonio, con l’inferno tutto, si irriti pure quanto vuole; i peccati non li fa, se non colui che vuol farli. E i peccati antichi, se li ha fatti, ora non esistono più.

Lei forse mi dirà in più: «E la lotta continua che devo sostenere? Il pianto, il non poter dormire?…». Cerchi di leggere e di considerare adagio adagio negli Esercizi di sant’Ignazio (opera del P. Bellecio) la meditazione del settimo giorno degli Esercizi intorno alla felicità e gloria dell’anima disprezzata e afflitta (dopo la seconda meditazione del settimo giorno). Spero che le sia di molta consolazione.

Del resto, «per multas tribolationes oportet nos intrare in regnum Dei».68 Il suo stato non deve cambiare per quello che succede tra le sue consorelle. Dio guida le anime che ama particolarmente attraverso cammini incomprensibili. La sua la vuole guidare attraverso il cammino che sta sperimentando. Come mai non pronuncia il misterioso fiat di Gesù? Ricordi spesso gli avvertimenti di santa Teresa che le ho scritto non molto tempo fa. Ogni volta che vuole la mia benedizione mandi l’Angelo Custode a chiedermela, a meno che non preferisca mandarlo in cielo a chiederla a Dio Padre, a Gesù, allo Spirito Santo, oppure alla Vergine santissima, o a qualche altro santo…

Il Signore la benedica. Ignazio».

Prove e umiliazioni

I consigli di questo santo Padre, credo di poter dire che non restavano sulla carta, ma che cercavo sempre di metterli in atto, nonostante le difficoltà e le ripugnanze che avessi potuto incontrare. Il Signore benediceva i miei sforzi, perché il profitto che trassi da questo periodo di prova e di umiliazione fu molto grande. Non vorrei che per caso si pensasse che erano umiliazioni e prove grandi o straordinarie come quelle che passavano i santi. La mia debolezza e piccolezza non avrebbero potuto sostenerle, perciò il Signore, come Padre misericordioso, le adattava secondo le mie forze.

Consistettero come ho detto, nella privazione delle consolazioni interiori. Per quanto si riferisce all’esteriore, si accentuò il mio stato fisico di debolezza, a motivo del quale mi tolsero quasi tutto il lavoro e la santa osservanza, restando in una situazione di quasi inattività e inutilità. Tutte queste cose, con l’aggravante di avere lì una sorella che era presente a tutto (anche se nello stesso tempo non era del tutto a conoscenza di quello che succedeva), erano occasione ad entrambe di non poche sofferenze. Però, se le cose non erano grandi in se stesse, io cercavo di ingrandirle con l’amore, lavorando interiormente e mantenendo, per quanto potevo, la mia volontà unita a quella di Dio, senza altro desiderio che quello di morire a me stessa e di far piacere a Lui. Quando io meno lo pensavo il Signore le faceva conoscere alla mia anima. A volte lo faceva per mezzo di parole interiori e di una forza misteriosa, che mi lasciava però una grande sicurezza e fermezza per andare avanti.

Una volta andai a leggere una lettera del Padre davanti a Gesù Sacramentato e udivo nel mio intimo come ripetere e imprimere le sue parole in tal modo che mi furono di aiuto per settimane e mesi. Trascrivo un’altra lettera di questo tempo, prima di terminare il presente argomento, poiché essa pure mi servì di alimento e di consolazione, anche se le risposte del Padre Ignazio, soprattutto quando io gli parlavo di grazie e di favori, facevano sempre trasparire timore e preoccupazione, a tal punto che io quasi non osavo più dirgli nulla. Ciò di cui egli voleva sentir parlare e più ancora veder praticare, erano le virtù solide ed autentiche, se non vedeva queste, non faceva caso di nessun’altra cosa.

«SS. Giovanni e Paolo, 20 settembre 1912

Carissima Madre Maria Maddalena, la mattina può sicuramente durante la meditazione recitare gli atti di fede, di speranza, di carità e di dolore come preparazione alla santa Comunione. Anch’io li recito come preparazione alla santa Messa.

La sua preziosissima lettera mi ha offerto l’occasione per ringraziare Dio e la Vergine santissima per quello che stanno operando in lei, mia buona figlia, ma stia attenta però a non credere tanto a se stessa. Anzi tema molto di se stessa, molto, affinché non finisca per compiacersi dello stato presente e poi, al momento pratico di ricevere qualche umiliazione o disprezzo, l’amor proprio si ribelli e lei divenga triste.

Dice un proverbio: «Non dire quattro se non l’hai nel sacco». Prima che il suo fervore possa qualificarsi come virtù in atto, dovrà soffrire molte prove e inghiottire molte pillole amare. Nonostante tutto, si faccia coraggio, si faccia molto coraggio, perché Dio lavora nel suo spirito. Ripeto, non attribuisca nulla a se stessa, né faccia caso del suo progresso, ma soltanto delle sue infedeltà.

Il Signore la benedica. Ignazio di Santa Teresa».

Povero Padre! Con i suoi timori mi lasciava sempre il cuore spezzato, mai completamente soddisfatto. Io, invece, nonostante che lui mi parlasse in questo modo, su questo punto stavo molto tranquilla e senza timore. Mi sentivo molto lontana dall’attribuire qualcosa a me stessa e dal non riconoscere che tutto il bene era opera della grazia. Questa umilia tanto già di per sé, che non ci sono riflessioni degli uomini capaci di poter fare altrettanto. Può darsi che lo comprenda così ora, più che allora quando mi convenivano quegli avvertimenti. Se non fosse così, direi: «Quanto tempo mi fecero perdere per non avermi lasciato slanciarmi liberamente nell’infinito mare dell’amore divino, dove non regna il timore, ma solo la confidenza e l’amore!».

Ricordo della santissima Vergine

Giacché il Padre, nella lettera sopra citata, mi ricorda la santissima Vergine, prima di terminare questo capitolo voglio dire una parola veloce, su una mia devozione particolare a questa dolce Madre, lasciando per quando verrà il momento opportuno, se il Signore mi darà vita, di parlare della medesima più estesamente come desidero.

La iniziai poco tempo prima del trasferimento nel nuovo convento, anche se non ricordo precisamente la data. Avevamo su un altarino del coro superiore (o tribuna) la santissima Vergine Addolorata, molto devota, vestita di nero (simile a quella che avevano in casa i Giannini, dove era stata solita pregare Gemma Galgani). Siccome eravamo abituate andar lì soltanto la notte per recitare il Mattutino e i venerdì per il Capitolo, di solito quell’altarino rimaneva spoglio e solitario, poiché in quel luogo non regnava che solitudine e silenzio. Queste due cose mi aiutavano a penetrare più vivamente nei dolori della mia dolce Madre. Nei giorni in cui mi era permesso, andavo qualche volta a trascorrere alcuni momenti ai piedi di Maria. Lì, accanto a Lei, concepii il desiderio di farle tutti i giorni nel pomeriggio una visita in quel luogo, immaginando di farle visita nella solitudine del Calvario o dopo la morte di Gesù. Chiesi alla Madre il permesso, che mi concesse molto volentieri, con la condizione di non uscire espressamente per questo dalla cella, ma che approfittassi dell’occasione, quando andavo o ritornavo dal compiere i miei uffici di refettoriera, guardarobiera, dispensiera, che esercitai dopo quello di sacrestana.

Con quanto piacere attendevo tutti i giorni l’occasione per andare a far visita alla mia dolce Madre Addolorata! Mi sembravano molto brevi quei momenti della mia visita di amore, fatta con l’intenzione di offrire una consolazione a questo Cuore materno, trafitto per amore nostro da sette spade di acutissimo dolore … O Madre diletta, per le volte che ti ho visitato e consolato, vieni accanto a me nella mia ultima ora e portami in cielo!

Il cielo era allora la mia unica aspirazione, sulla terra non trovavo che vuoto, delusioni e amarezze. Beate amarezze che elevavano i miei pensieri, affetti e desideri ai beni veri ed eterni del cielo, come sono espressi nei seguenti versi.

SITIVIT ANIMA MEA AD DEUM VIVUM69

Sospira l’ora, Gesù, l’anima mia

In cui, del corpo rotta la prigione,

Si schiuda anche per me la bella via

Dell’eterna mansione.

In questa terra tutto m’ha annoiato;

Nulla e poi nulla, ovunque poso il ciglio

Trovo che basti a un cor per Te creato

In questo esilio.

Se vado silenziosa ricrearmi

Tra fiori del chiostro nel giardino,

A Gesù dall’amor sento portarmi,

Bel fior divino.

Mentre lavoro, unita al mio Tesoro,

Si strugge l’alma di udir quanto è compito

Di mia veste nuziale il bel lavoro,

Dello Sposo l’invito.

Se prendo a mensa il povero alimento,

Penso che sol di Dio viverò un giorno

Nello spirito, con Lui più fame sento

Di far soggiorno.

Se il Padre mio san Paolo della Croce

Mi vien dolce ricordo alla memoria,

Quando, mio Dio, mi ripete una voce,

Vedrò sua gloria?

San Gabriele, l’amante di Maria,

Caro fratello mio: veder vorrei

Su in cielo come lui la Madre mia

Amar potrei…

Se l’alma mia, che solo anela il cielo,

sta innanzi al Prigioniero dell’amore,

La sua bellezza vedere senza velo

Anela il cuore.

Se sciolgo la mia voce ai canti, ai Salmi,

Vola lo spirito mio a quel canto bello

Che solo l’alma vergine tra i santi

Canta all’Agnello.

Se di mia Madre il bel nome odo ridire,

Dall’amore vien meno l’alma mia;

Vorrei vederla in ciel, da tutti udire

Ripetere Maria.

Dando al corpo il riposo della sera,

Nella mansion superna giunta anch’io,

L’anima stanca, eternamente anela

Di riposare in Dio.

Il tuo amore, o Gesù, mi doni l’ale

mi sciolga dal carcer che m’inserra.

Il fuoco tuo, che mi brucia, sia il mio «vale»

Che do alla terra.

Sospiri del mio cuore: il cuor di Dio

Movete voi; ditegli voi il mio anelo;

Abbia fine Signor l’esilio mio,

Vi veda in cielo.

M. M.



64 Letteralmente: «Donde a me questo, donde questo a me?». Cf. Lc 1, 43: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?».

65 «Lei crocifissa concepì il Crocifisso».

66 Cf. Eb 12, 6: «Il Signore corregge colui che egli ama».

67 «Rendiamo grazie a Dio».

68 Cf. At 14, 21: «E’ necessario attraversare molte tribulazioni per entrare nel regno di Dio».

69 Cf. Sal 41, 3: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente».

69 Cf. Sal 41, 3: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente».