34. Il nemico

34. Il nemico

Il mio nuovo ingresso in convento avvenne serenamente ed in tranquillità, tanto da parte mia quanto da parte della mamma. Alla fine era completamente convinta del nostro destino e del fatto che chi riceve dal cielo il dono della santa vocazione, riceve la grazia più grande che un’anima può ottenere dopo il battesimo. San Gabriele dell’Addolorata diceva: «Beato chi è chiamato e corrisponde». Anche se la mamma non lo diceva, essa certamente condivideva questa affermazione, quando per la seconda volta ci accompagnò in convento. Non ebbe né lamenti, né lacrime, né dispiacere. Si aprì la porta dell’arca santa e le due colombelle, stanche di attendere e desiderose del cibo scelto che si trova solamente nella casa del divino Padrone, rientrarono felici nella adorata prigione.

Ingresso in convento per la seconda volta

Questa volta non avvenne come la prima: sapevo di essere stata fuori soltanto con il corpo, perché il mio cuore non aveva mai cessato di stare tra quelle sante pareti. Entrando nel corridoio mi sembrava di respirare un’aria celeste ed entrando nella mia amata celletta, salutai in ginocchio la santissima Vergine con l’Ave Maria, e deposi sul pavimento un ardente bacio. Ringraziando il Signore ripetei l’«haec requies mea», ma non dovetti dire il «dirupisti Domine vincula mea»,53 poiché già da tempo mi sentivo libera: nessuna cosa più mi teneva legata al mondo, ero già tutta di Gesù. Avevo dunque motivo di ripetere ancora di più: «Questo è il luogo del mio riposo» (cf. Sal 131, 14). Oh, sì, senza dubbio, la casa del Signore è il luogo del più sicuro riposo per la mia anima smarrita. Lì non arrivano gli ingannevoli e molesti rumori del mondo. Da lì salgono al cielo incessanti ed ardenti i desideri della patria beata, che fanno pregustare già le ineffabili delizie di quella santa dimora.

Certamente resta sempre un riposo relativo: grande, vero e degno di tutta la stima se si paragona con le inquietudini e gli andirivieni dei poveri mondani, ma non è che un’ombra se è confrontato con quello che godono i beati in cielo. Questo è tutto quello che si può trovare in questa vita e che lo Spirito Santo (cf. Gb 7, 1) chiama «militia» (lotta); per questo fu promesso unicamente a quelli che lottano e vincano.

L’anima che entra in convento ha vinto il mondo, ma le restano la carne e il demonio. Di questi due nemici, il primo non mi procurò molta guerra, perché, per la misericordia del Signore, lo tenevo abbastanza sottomesso con la mortificazione; ma il demonio invece sì, venne con le sue menzogne per vedere se poteva ingannare me e le mie compagne.

Attacchi del demonio

Una volta, mentre conversavo con la Madre Giuseppa e provavo qualche difficoltà nel manifestarle certe cose del mio spirito e lei mi incoraggiava con dolci maniere e parole, entrò improvvisamente dalla finestra una grossa pietra, rompendo in mille pezzi i vetri. Io, nell’udire il colpo, mi alzai subito spaventata, perché la pietra veniva esattamente nella direzione dove noi eravamo sedute. Ma la Madre non si mosse né si alzò dal suo posto, ma con la sua abituale tranquillità e pace mi disse: «Figlia mia, non aver paura. Non vedi che è il demonio per spaventarti e perché non vuole che tu mi dica quello che hai da dirmi?». Io nel vedere la Madre così tranquilla e serena, mi tranquillizzai subito, convinta che fosse il demonio che voleva turbarmi. Lei invece non si lasciava spaventare da nulla, perché era molto abituata a queste lotte con il demonio.

Mi raccontò che una notte, da giovane religiosa, trovandosi a letto, il demonio venne a dirle che era dannata e che tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato inutile, poiché era destinata ad andare con lui all’inferno. Lei gli disse: «Vattene tu all’inferno, brutta bestia», e lo respinse con tutta la forza e il disprezzo. Il nemico indispettito, le disse: «Maledetta tu», e prendendo per un angolo il tappeto che c’era sul tavolo, lo gettò sul pavimento e se ne andò urlando.

«Il demonio —mi disse la Madre— ha giurato di farci tutti i dispetti che può a me e a tutte quelle della mia comunità e benché sia il padre della menzogna, questo giuramento lo ha mantenuto». Quanto fece patire la povera Madre! Un giorno lo sapremo, se il Signore disporrà che si scriva, come spero, la sua vita.54 Anche alcune delle sue figlie dovettero soffrire parecchio per questo. Il Signore non permise invece che io venissi molestata molto, senza dubbio perché ebbe riguardo alla mia debolezza.

Voglio dire qualcosa che so con certezza su questo argomento, perché si conoscano gli artifici che questo crudele nemico delle anime usa con lo scopo di ingannarle ed allontanarle dal Signore.

Il demonio vedeva che la postulante Beatrice (quella vecchietta di 64 anni della quale ho parlato), sia per il suo spirito buono come per i suoi beni materiali era molto utile alla comunità in quel momento di fondazione, perciò cercò di indurla ad uscire dal convento. Lei aveva più confidenza con me che con qualunque altra. Un giorno durante la ricreazione mi chiamò in disparte e mi disse: «Giuseppina, io voglio andarmene, perché non vogliono darmi l’abito». Molto stupita io le domandai: «Chi gliel’ha detto?». Lei mi rispose: «Un Padre Passionista, perché non restassi ingannata fino all’ultimo momento entrò nella mia cella, senza che nessuno lo sapesse e mi disse: Te lo comunico per farti un gesto di carità: vattene presto, perché le monache non ti vogliono ammettere». La poveretta mi disse questo tutta afflitta e turbata, poiché doveva abbandonare la casa del Signore dove si trovava così contenta e mi aggiunse: «Glielo dico in segreto, non dica niente a nessuno». A me sembrò subito che doveva trattarsi di un inganno del demonio, perché nessuno e tanto meno un Passionista, avrebbe potuto entrare nella clausura in quel modo. Mi sembrò pure che non fossi obbligata a tenere il segreto e andai subito a dirlo alla Madre, la quale di fatto mi confermò che senza dubbio alcuno era stato il demonio, e trasse dall’inganno e consolò quella povera anima afflitta.

Il rosario che attualmente porto alla cintura era della Madre, la quale su mia richiesta me lo regalò quando ci separammo. Lei mi disse che una volta, mentre parlava con una novizia, il demonio glielo strappò con forza e lo ruppe, facendo scorrere sul pavimento tutti i grani. Lei allora gli comandò in nome di Dio e di Maria Immacolata che glielo restituisse e immediatamente il suo rosario tornò a presentarsi intero.

A volte succedeva che noi ci trovassimo tutte indisposte e senza voglia di mangiare, senza sapere quello che avevamo. La Madre ci diceva: «Questa è opera del demonio, il quale vuole farvi perdere la salute e le forze, perché così non possiate continuare a servire il Signore. Non fate caso a questi mali, vincete la ripugnanza, mangiate e avanti senza paura». Era così di fatto.

Sicuramente con lo scopo di farmi perdere la salute, una notte, poco dopo essermi messa a letto, mi capitò di vedere la Madre venire a trovarmi (fatto del tutto insolito a quell’ora) e sedersi su uno sgabello che stava al capezzale del mio letto. Incominciò a dirmi: «Giuseppina, davvero desideri fare penitenze? Io te le ho proibite per metterti alla prova, ma se proprio lo desideri, ora ti permetto di portare il cilicio per dieci giorni di seguito senza toglierlo mai, neanche durante la notte». Nell’udire questo rimasi un po’ impressionata e scoraggiata. Era un cilicio molto grande, da portare alla cintura, che usavo quando ero nel mondo, ma mai me lo avevano permesso in quella maniera, cioè per tanti giorni di seguito. Alla fine restai convinta che lo avrei portato, fiduciosa che Dio mi avrebbe dato la sua grazia.

Al mattino, all’alzarmi, secondo l’ordine ricevuto, dovevo mettermi il cilicio. Rimasi però indecisa; sentivo molta ripugnanza, ma allo stesso tempo pensavo: «Se la Madre lo fa veramente per mettermi alla prova e io non mi vinco, che cosa succederà?». Rimasi per un po’ inquieta, ma alla fine, siccome il Signore non permette che i suoi siano ingannati, se loro stessi non vogliono ingannarsi, decisi di andare a domandarlo alla Madre. Non era ancora uscita dalla sua cella, rimasi perciò ad aspettarla alla porta. Quando aprì mi misi in ginocchio e le dissi: «Madre, quando metto il cilicio, ora o dopo la Messa?». Lei rispose stupita: «Lo sai che per ora non voglio affatto». Io le risposi: «Ma questa notte lei è venuta a dirmi che lo portassi ininterrottamente per dieci giorni e dieci notti». Lei replicò: «Sarà stato il demonio, perché io non sono venuta nella tua cella e tanto meno ho detto queste cose». E subito aggiunse: «Perché il demonio non si prenda gioco di te, dammi il cilicio»; e io glielo consegnai.

Un’altra notte, mentre andavo a coricarmi, quando entrai nella cella, vidi uscire dal mio letto un gatto nero e fuggire dalla finestra con una velocità spaventosa, al punto che io non potei nemmeno gridare. Rimasi molto impressionata, poiché mi sembrava che non potesse essere un semplice gatto, ma bensì il demonio invidioso della grazia grande che presto il Signore mi avrebbe concesso: il santo abito della passione, che costituiva tutto l’anelito del mio povero cuore.


53 Cf. Sal 131, 14: «Questo è il mio riposo per sempre». Sal 115, 16: «Hai spezzato, o Signore, le mie catene».

54 Madre Maddalena è riuscita a scriverla: porta il titolo «Una amiga de Santa Gema». In essa, al capitolo III, parte terza, narra dettagliatamente diversi interventi del demonio nella vita della Madre Giuseppa e nell’esercizio del suo incarico come superiora della comunità di Lucca.