Libro Quarto – Segnati con lo Spirito Santo

SEGNATI CON LO SPIRITO SANTO[1]*

Avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso

(cf. Ef 1, 13)

L’oggetto di tutte le nostre speranze è la felicità eterna. Vedere Dio e goderlo. E non c’è una speranza più consolante e più sicura di quella che ha per pegno il possesso dello stesso Bene che si spera di godere pienamente. Per questo, per l’anima che ama Dio, pensare alla morte che dovrà scindere il velo che nasconde il Sommo Bene, al quale unicamente aspira, è una gioia immensa, una sorgente di dolci conforti, di ineffabile felicità. Già ha, in sostanza, il bene che dovrà possedere un giorno, completamente, in cielo. Lo possiede per opera dello Spirito Santo che dimora in essa; e per l’Eucaristia che riceve con frequenza.

Questi sono i due pegni più sicuri della vita eterna. Danno all’anima quella speranza certa, di cui parla l’apostolo S. Giovanni, quando dice: “Per questo l’amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio” (cf. 1 Gv 4, 17). Il pensiero della morte per molti è motivo di afflizione, ma per l’anima fedele è motivo importantissimo di consolazione e di gioia.

la morte non esiste. Con la morte, si dice di solito, tutto finisce. Per colui che muore, finisce il mondo. Tutte le cose che ci sono in lui, non sono per lui. Tutte gli saranno tolte, strappate per sempre…

Sebbene questo, in fondo, sia vero, non lo è completamente, in tutto il suo senso, o almeno non si può applicare a tutti senza eccezione. E’ certamente vero per quelli che amano il mondo, per quelli che posseggono solo cose materiali e transitorie. Non lo è quelli che amano i beni eterni, Dio, il cielo, la sua gloria; né per quelli che hanno come loro ricchezza e proprietà la grazia e l’amore divino. A questi la morte non toglie nulla. Perché, in fondo, la vita della grazia e la vita della gloria sono una medesima vita. La prima è la vita in germe; la seconda è la vita nella sua pienezza, la vita nella infinità ed eternità di Dio.

Per colui che ama Dio non esiste la morte; è stata assorbita da una vittoria. Per i meriti e la virtù di Gesù Cristo, che ci dice tramite il profeta Osea: “O morte! Sarò la tua morte!” (cf. Os 13, 14 vulgata).[2] Grandi consolazioni producono queste verità nell’anima che serve e ama il Signore, pur trovandosi in mezzo a fatiche e dolori. Come l’Apostolo Paolo, che con questo pensiero si consolava e incoraggiava se stesso e i Corinzi a restare fermi e costanti, lavorando sempre più a servire il Signore, “sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (cf. 1 Cor 15, 58). Come ricompenserà il Signore i suoi fedeli? “Ciascuno sarà saziato a misura di quanto avrà lavorato” (cf. Is vulgata 53, 11).[3] Chi ha cercato l’amore e con amore avrà lavorato, amore e solo amore sarà la sua degna ricompensa. Dio è amore. “Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande” (cf. Gen 15, 1). Lo Spirito Santo che dimora nell’anima amante le ripete incessantemente: “Io, l’Amore per essenza, l’Amore infinito, sarò tuo. Sarò la tua ricompensa , mi darò a te completamente. Ti riceverò nel gaudio del mio amore nell’istante stesso in cui, rotti i legami del corpo, puoi essere assorbita dal mio amore. La mia bontà non mi permette di differirti un minuto questo gaudio. L’amore ti ha purificato, ti ha fatto degna di Me. “Prendi parte alla gioia del tuo padrone” (cf. Mt 25, 21). Tutti i tuoi desideri di amore, di amarmi, di farmi amare, di morire in un atto di amore perfetto, saranno soddisfatti; nessuno resterà senza la sua ricompensa davanti a Me”. O anime che non potete operare né lavorare per il Signore come vedete che altri lavorano, non vi affliggete mai. Sono per voi quelle promesse. Chi opera per Dio, riceverà da Lui la sua ricompensa proporzionata all’amore con cui ha lavorato. Coloro che hanno soltanto amore, saranno contraccambiati con tutto quell’amore col quale hanno amato o desiderato di amare, senza andare soggetti a riduzioni o misure.

Suor Elisabetta della Trinità, sul finire della sua vita mortale, esclamava: “Presto sarò in seno ai miei Tre. Ci può essere cosa più incantevole? Vado alla luce, all’amore, alla vita”. Queste furono le sue ultime parole, e di questo sta ora godendo e godrà eternamente: la vita vera, l’amore perfetto, la luce indefettibile.

Non è molto, passò da questa vita un’altra anima beata che soltanto nell’amore aveva il suo appoggio e la sua ricchezza. Era un giovane religioso che, giunto al suo ultimo giorno, e caduto in un deliquio di amore, passò diverse ore ripetendo: “O Bene infinito, vi amo, vi amo”.[4] E pronunciando queste parole, spirò, vittima dell’amore.

Nessun paragone può dimostrare la gioia dell’anima quando si avvicina al suo ultimo fine o pensa al suo ultimo giorno, giorno che darà principio a quel giorno eterno che non conosce tramonto. Le sembra sentirsi ripetere “Ecco che arriva lo Sposo, esci ad incontrarlo” (cf. Mt 25, 5), per entrare al convito. Mille volte felici quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello: “Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!” (cf. Ap 19, 9).

Ma non è semplicemente un’ invitata a questa cena. L’anima che è vissuta amando e muore di amore, è la Sposa del Figlio del Re. E’ l’oggetto di quella festa che si ripete nel cielo con gaudio sempre nuovo, ogni volta che l’amore rompe i lacci mortali a una di queste anime, alle quali la terra del pianto e del dolore non poteva più essere la loro dimora.

beati quelli che muoiono nel signore. Lo Spirito Santo chiama beati quelli che muoiono nel Signore: “Riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (cf. Ap 14, 13). Per questo, attendono con gioia la chiamata dello Sposo, perché tutto ciò che amano e hanno, lo portano con sé. Niente lasciano. Tutte le loro opere di amore li accompagnano.

Ma come può essere questo? Non sappiamo che tutti i santi, durante la loro vita e più nei loro ultimi giorni, credevano di non aver fatto nulla di buono, e si ritenevano peccatori?

Come possono, quindi, essere loro causa di conforto le loro opere buone? Non c’è dubbio che quanto più santa e ricca di meriti è un’anima, tanto più è umile e meglio riconosce il suo niente e la sua miseria. Ma non è pure meno certo che quanto più un’anima si umilia, più la riempie la Verità, e Dio è la Verità. Non è propriamente suo ciò che vede e la conforta. E’ ciò che Dio ha fatto in essa e per suo mezzo. La causa della sua gioia è il vedere Dio stesso colmare l’abisso del suo nulla e vedere che tutto il suo bene è effetto dell’infinito amore che Dio nutre per essa. Sente che sta per cadere la casa della terra in cui abita, e Dio le darà poi l’altra dimora celeste ed eterna. Scrive l’apostolo Paolo: “Sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore… preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (cf. 2 Cor 5, 6.8).

E’ contento di lasciare il corpo perché allo splendore dell’eterno sole a cui si avvicina, vede bene come la carne l’allontana dal Signore, da quel Signore che essa ama e possiede per quanto è possibile.

Capisce però che pur possedendolo con la più intima unione, starebbe tuttavia lontana dal possederlo quale è, Spirito purissimo e semplicissimo. Per questo, è necessario abbandonare la materia affinché l’anima, libera ormai dalla schiavitù del corpo, possa dispiegare le ali verso la regione dello spirito e volare senza intralci al suo principio primo, alla sua origine, a quell’Unico per il quale è vissuta, per il quale palpita il suo cuore, al quale incessantemente aspira.

Questa carità e amore dell’anima è, come dice San Giovanni della Croce, quella che fa venire correndo lo Sposo a bere a questa fonte di amore della sua sposa. Come le acque fresche fanno venire il cervo assetato e ferito a prendere refrigerio, viene lo Sposo divino a refrigerarsi nell’anima e ad estinguere al tempo stesso la sua sete con l’acqua che sale fino alla vita eterna. Fa salire l’anima con la speranza, all’eterna fonte della vita, dove berrà luce e amore per sempre.

Non è strano che anche le anime purificate dal crogiolo del dolore e dell’amore, già unite al Sommo Bene, quando si sottomettono alla legge universale della morte, debbano subire penose infermità, dolori e umiliazioni, che sempre accompagnano la distruzione del proprio essere. Ma tutto questo non è capace di turbare la loro inalterabile serenità. E’ così piena e abbondante la loro vita spirituale, che ricevono, quasi senza avvertirli e anzi con gioia, i colpi di distruzione della loro vita materiale, perché sentono che se finisce e perdono ciò che è meno, è per dare loro ciò che è più; per dare loro quello che solo amano e stimano, l’amore nella sua pienezza, Dio.

morire di amore. Felice transito quello di coloro che sono giunti alla pienezza dell’amore e sono morti più per la forza dell’amore che per l’infermità. L’amore, giunto alla sua perfezione nell’anima, ha più forza e potere per rompere i lacci mortali che la tengono prigioniera, che tutte le infermità e i dolori fisici. Divina infermità fu quella che tolse la vita anche a Maria Santissima. Non tolgono la gioia e la pace dell’anima i dolori che opprimono i loro corpi, come se non fossero loro a soffrire. I loro pensieri, gli occhi dell’anima loro, restano fissi in quell’unico Bene che li attira. Attendono impazienti l’aurora del giorno eterno, il momento della visione eterna.

A volte – raramente succede, permettendolo il Signore per i suoi giusti fini – non appaiono esteriormente i segni di questo gaudio. Ma non c’è alcun dubbio ed è indiscutibile, che questo gaudio lo hanno provato e lo provano interiormente tutte le anime che separandosi dal corpo sono unite a Dio con la carità perfetta. La morte ha cessato di essere un castigo per loro, non esistendo più nell’anima loro la causa che lo ha motivato, il peccato.

Il Salvatore moribondo, malgrado le umiliazioni del Calvario, i suoi immensi dolori, le parole con cui ci manifestò la sua angoscia nei suoi ultimi momenti, mai perdette il gaudio, pieno e completo, nella sua anima santissima, per l’unione ipostatica con la divinità. Allo stesso modo, l’anima che è unita a Dio con l’amore, è sempre felice. Niente e nessuno può togliere loro o diminuire il loro gaudio.

E’ così potente l’amore, che dove è, sottomette al suo impero tutti i dolori fisici e morali. Li converte nelle più pure gioie, mentre lui non può essere vinto da nessuno, perché l’amore è “più forte della morte”.

La forza di questo amore fu quella che fece chiedere la morte al vecchio Simeone, quando strinse fra le braccia Gesù Bambino. Quella che fece dire a san Paolo di desiderare ardentemente di “essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” (cf. Fil 1, 23): Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (cf. Fil 1, 21). E S. Teresa di Gesù: “Muoio perché non muoio”. Diciamo con l’Apostolo: “Dov’è, o morte, la tua vittoria?” (cf. 1 Cor 15, 55). L’amore l’ha vinta. Per chi ama, il giorno della morte è il giorno della pienezza della vita, perché giunge alla pienezza dell’amore, a cui si può giungere in questa terra, dove non c’è né ci può essere amore più grande che dare la vita per chi si ama. Ed ecco un altro motivo che fa dolce e desiderabile la morte a coloro che amano Dio: potergli dare così la prova più grande del loro amore, ripetendo il “Tutto è compiuto” (cf. Gv 19, 30) di Gesù.

pensando al cielo. Chi non sa che cosa fa e che cosa può l’amore, non sa nulla! Nulla, assolutamente nulla, è capace di turbare la pace dell’anima che vive di amore. L’amore le presta a volte sguardi tanto profondi che le fanno godere già, per quanto può, della visione dell’Amato. Sembra che sprofondi nel seno di Dio, e l’amore glielo mostra con tanta chiarezza, che la sua luce, anche in mezzo alle ombre di morte, somiglia all’aurora del giorno della visione eterna.

In attesa di questo giorno felice, l’anima vive come se non fosse su questa terra. I suoi pensieri sono fissi nel cielo. Le sembra di vedere già segnata col sigillo di Dio quella moltitudine che nessuno può contare, quella infinità di anime che lavarono le loro vesti nel sangue dell’Agnello, che adesso, come Pastore, le porta a quella fonte di acqua viva e asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi e sazierà abbondantemente tutta la loro fame e sete di giustizia e di amore.

Il giorno in cui il divino amore s’impossessò dell’anima, imponendole la rinuncia di tutto, essa non conosceva i suoi misteri né i sentieri per dove l’avrebbe portata. L’anima lasciò però tutto e lo seguì, come Abramo che lasciò la sua terra e si mise in cammino senza sapere dove andava, solo per la fede nella parola di Dio. Al principio, quando si spogliò di tutto per seguire l’amore, egli fu crudele con essa. Ma una volta purificata, comincia a rivelarle i suoi misteri e le gioie che le tiene preparate nel regno dell’amore.

A misura che si avvicina al suo fine, si dissipano le ombre, spariscono gli enigmi e si compie in essa, con sempre maggiore intensità, quella preghiera di Gesù: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo
(cf. Gv 17, 24). Questa preghiera di Gesù ha il suo pieno effetto per l’anima che lo ama e adesso ne desidera il compimento. Si consuma in quella beata unione con Dio che lo stesso Salvatore chiese, di essere cioè tutti una sola cosa con Lui, come Lui col Padre celeste. Queste cose, avverte Gesù, le diceva ai suoi, perché avessero in se stessi la gioia perfetta che Egli possedeva.

Ultima preghiera di Gesù! Quale eco ha nei cuori che palpitano solo per Lui, che vivono nell’attesa del momento della chiamata del Signore! Quale risonanza ha nei cuori convinti che tutto ciò che Egli chiese al Padre sarà loro certamente concesso… Amore! Com’è grande l’amore!

Misericordiosissimo Gesù, fin dalla mia infanzia mi attirasti al tuo servizio per farmi appartenere a quel numeroso esercito vestito di bianco alla cui testa è la Madre delle Vergini e che canta quel cantico nuovo che solo le vergini possono cantare! Fa’ che sia sempre vivo e ardente in me il desiderio di servirti, e che questo pensiero mi serva per tenere sempre accesa la lampada della carità. Che quando verrai in cerca di me, possa all’istante venirti incontro, o Sposo dell’anima mia, Sposo di sangue, perché col sangue hai comprato il mio amore. Che io gioisca, amandoti per sempre col tuo stesso amore! Non tardare, perché l’anima mia ha sete di Te, Dio vivente. E poi mostrami il tuo volto, affinché, contemplandoti faccia a faccia, la forza del tuo infinito amore mi immerga nel tuo seno e là rimanga, amandoti per i secoli dei secoli. Amen.


[1]* Cf. La Vida Sobrenatural, maggio 1931, pp. 289-297.

[2] Cf. Os 13, 14, traduzione CEI: “Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte? Dov’è, o morte, la tua peste? Dov’è, o inferi, il vostro sterminio?”. L’apostolo Paolo decide comunque il senso del testo, perché con esso annuncia nel Messia Gesù la vittoria sulla morte (cf. 1 Cor 15, 54-55).

[3] Cf. Is 53, 11, traduzione CEI: “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza”.

[4] Allude al beato Pio Campidelli Passionista, nato a Trebbio (Rimini) il 29 aprile 1869 e morto a Casale di S. Vito di Romagna (Rimini) il 2 novembre 1889. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 17 novembre 1985.