9. La semente

9. La semente

 

         Posso considerare le mia vita in quel periodo come una semente nascosta sottoterra, ricordandomi le parole di Gesù: «Se il grano di frumento non muore, non produce frutto» (cf. Gv 12, 24). Volesse il cielo che mi fosse servito quel tempo per morire a me stessa!

 

Rammendando abiti

 

         Libera da ogni ingerenza nella comunità, concentrai tutte le poche energie che mi erano rimaste, dopo i colpi ricevuti, per adempiere al mio ufficio di guardarobiera, aggiustando poco per volta gli abiti delle religiose, perché li avevano tutte in condizioni deplorevoli. Cercavo di rimetterli a posto, di lavarli, come se dovessi consegnarli a Gesù, che vedevo nelle sue spose. Con che piacere le vedevo soddisfatte del mio lavoro! Ma ogni tanto risorgevano reminiscenze del passato: disapprovazioni, critiche e allusioni a quello che avevo fatto o a quello che facevo. Mi dicevano che dovevo ricredermi di qualcosa nella vita, perché diversamente avrei dovuto farlo nell’ora della morte.

         Tutto questo insieme di cose faceva comprendere, tanto a me come alle due religiose spagnole che mi avevano accompagnato a Lucca, che il nostro star lì era di troppo. Le nostre sorelle di Spagna tardarono un po’ nel sapere quello che era accaduto e quando giunse alle loro orecchie, quelle che precedentemente erano state così desiderose della nostra presenza, non dimostrarono alcun interesse per il nostro ritorno alla loro comunità, come era successo alla fine del primo triennio.

         Discutemmo la questione tra noi e poi osai scrivere al nostro Padre Generale, domandandogli se ci dava il suo permesso per fare una nuova fondazione in Spagna e manifestandogli la speranza che avevamo di ricevere degli aiuti. Rispose perentoriamente che quelli non erano tempi per fare fondazioni: l’Italia era in guerra e la Spagna appena uscita dai tragici eventi verificatisi a causa del Movimento Nazionale.

         Benché io gli scrivessi una lettera riservata, «de conscientia», il Padre manifestò naturalmente il suo parere alla Superiora, la quale, come è logico, ci chiuse tutte le porte, proibendoci perfino di parlare tra noi (poiché ci aveva visto qualche volta parlare tra noi del nostro avvenire e del come risolverlo). Restammo, dunque, senza sapere cosa fare. Avevo fissa nella mente l’idea della fondazione, ma avevo le mani legate in maniera tale che non sapevamo cosa fare, se non pregare e soffrire.

 

Il progetto di scrivere la vita della Madre Giuseppa

 

         Vedendomi libera, un’altra idea mi perseguitò. La maggior parte delle religiose della comunità non aveva conosciuto i suoi inizi, né la sua fondatrice: la grande anima della Madre Giuseppa. Mi dispiaceva che tante cose che io sapevo e potevo dire di lei andassero perse, perché la vita che c’era di lei, scritta in italiano, era molto lacunosa. Un giorno osai presentare in ginocchio alla Madre questo mio desiderio, mostrandomi disposta a scrivere per la gloria di Dio e di quel convento. Io pensavo che, anche se non si fosse arrivati alla pubblicazione, l’importante era che le cose fossero scritte. «Bene —mi rispose la Madre—, incominci ad annotare qualcosa». Mi diede un quaderno di dieci pagine, aggiungendo: «Non voglio che tolga affatto tempo al lavoro del guardaroba; può scrivere soltanto nei ritagli di tempo libero». Portai via il quaderno; anzi, passato un po’ di tempo, glielo restituii in bianco dicendole che non mi era stato possibile fare nulla. Chiaramente avevo capito che non le piaceva e che non mi riteneva capace di ciò. In questo aveva molta ragione, anche se non si rendeva conto che, per dire le cose (che è quello che importa), chiunque è capace, poi, per correggere, non mancano i dotti. Nel farle la proposta, le presentai quattro pagine di introduzione che avevo già fatte su fogli a parte e con questi sono rimasta. Mi servirono più tardi, ma allora compresi che non era ancora venuta l’ora e che il Signore dispone tutto con peso e misura, con amore e saggezza infinita.

         Ogni cosa ha la sua ora: non era ancora arrivata quella di realizzare quel mio desiderio. Sia benedetto il Signore che mi ha concesso ora, mentre sto scrivendo, di aver potuto realizza l’idea con più libertà, scrivendo una lunga vita in castigliano che si trova già in stampa.17 Quanto è importante, per non intralciare i disegni di Dio, non insistere sulle cose, ma aspettare tranquillamente il momento assegnato dal Signore!

 

Vita di oscura fede

 

         Nei giorni festivi e di ritiro, approfittavo delle ore libere per prendere appunti, leggere libri e tornare a rileggere lettere di anime buone alle quali ero unita e dalle quali allora non potevo approfittare per ricevere consigli scrivendo loro.

         Tra gli appunti stesi in marzo, all’origine dei fatti narrati, trovo questo:

 

         «Ultimo giorno dei santi Esercizi predicati dal Padre Fausto, Passionista. Dio mio, mi sembra di potervi dire, con la sincerità del mio cuore, che il mio desiderio di amarvi e di crescere nel vostro santo amore fino all’ultimo istante della mia vita non è diminuito. Al contrario, credo che sia più forte che nel passato, nonostante che la mia anima si trovi avvolta nelle tenebre e senza il gusto sensibile del vostro amore. Con un atto di fede cieca, vi ripeto e vi ripeterò spesso: Dio mio, vi amo e confido in Voi; vi amo e credo nel Vostro amore verso di me, nonostante quello che sento mi faccia credere il contrario. Rinuncio, con un atto cieco di abbandono fatto con tutta l’energia della mia anima, a sentire le dolcezze del vostro amore, nella speranza che così vi ami con un amore più puro e più forte. Non voglio veder nulla, né saper nulla di quello che mi tenete preparato; lo accetto interamente già da oggi fino all’ultimo momento della mia vita, perché allora io possa morire in un atto di amore perfetto e di venire immediatamente da Voi. Mi sembra di non desiderare nulla d’altro; se fosse diversamente capirei che il mio abbandono non sarebbe perfetto.

         Sento il desiderio di vedermi sollevata dalla carica, di essere semplice religiosa, di vivere nell’obbedienza, solitaria, silenziosa, ma finché Voi non disponete le cose diversamente, lo respingo come una imperfezione. Fate di me quello che volete. Sento la sfiducia che mi mostrano le religiose quando interpretano in maniera distorta le mie azioni, ma non perdo la pace, perché Voi leggete nel cuore; io voglio amarle tutte ugualmente e amarle molto. Cercherò di aumentare le delicatezze e la tenerezza materna con quelle che mi dànno motivo maggiore di soffrire. Mi vincerò quando non avessi voglia di parlare con loro. Le disattenzioni e i disprezzi che cadono sopra di me, ho intenzione di risparmiarli a Gesù nella sua passione e perciò mi rallegrerò pensando che è Lui che mi chiede questa consolazione e che permette tutto ciò per il nostro bene. Or dunque, fede, vita di fede; un giorno vedrò in cielo tutto chiaramente».

 

SI’, LO VEDRO’

 

Lo vedrò un dì come si vede il sole

Brillar nell’alba sopra le viole…

 

Lo vedrò sorridere amoroso

Come avanza all’amata il casto sposo…

 

Vedrò un dì le sue piaghe rifulgenti,

Foco pel cuore e luce per le menti.

 

Lo vedrò un giorno come sposo in festa,

Stendendomi amoroso la sua destra.

 

Lo vedrò come Padre sempre amante,

Offrendomi il suo cuore col sembiante.

 

Lo vedrò come un mare senza sponde,

Dolcemente baciarmi le sue onde.

 

Lo vedrò mostrandomi il suo Cuore,

Che mi dice: è per te tutto il mio amore!

 

Lo vedrò che mi dice: son tuo Dio,

Entra per sempre dentro il gaudio mio!

 

                                     M. M.

 

         Tutti questi sentimenti erano in fede oscura; ma «la fede oscura guida sicura all’alma pura», dice il mio santo Padre (san Paolo della Croce). In quelle penose lotte, tutto mi mancava e con tutto cercavo di aiutarmi.

         Trascrivo qualche tratto di una lettera di una nostra Madre, Superiora a Napoli, Madre N. N.,18 che ebbe molta risonanza nella mia anima durante quel tempo, per darmi coraggio a seguire Gesù sulla via del Calvario. Non ricordo quello che io le avevo scritto: sicuramente, con la confidenza di sorella, le avrò fatto intendere che alcune spine pungevano la mia anima.

 

         «Napoli, 13 marzo 1940.

         La sua graditissima lettera mi ha fatto comprendere, una volta di più, che l’aderire a Dio pienamente è abbracciare e stringersi alla croce, alle spine, alle piaghe del Salvatore. Beata lei, Madre mia, che è degna di tanto onore, di una grazia così insigne. Le fatiche, le pene, le contrarietà, le preoccupazioni con cui ora si ciba, saranno il suo ascensore per scalare la santità e trionfare poi nella gloria.

         Le auguro che tutto quello che lei fa per l’esaltazione della beata Gemma, altri lo facciano per lei quando sarà con la stessa Gemma nella gloria. E, perché no? Nella santità dobbiamo cercare la gloria di Dio; pertanto è lecito che anche lei, Madre, giunga alla gloria degli altari…».

 

         Oh, quanto soavi e dolci scendevano nella mia anima queste felicitazioni di un’anima santa in momenti di così grande amarezza per la mia!

         Non voglio tralasciare un altro passo di quella medesima lettera, che spero faccia del bene, come lo fece alla mia anima:

 

         «Sì, sì; che Gesù faccia di noi il prolungamento di se stesso, mediante la più intima adesione a Lui, mediante la fedele imitazione delle sue virtù. Lui ci ripete dalla Croce: Manete in dilectione mea.19 A questa chiamata divina, o meglio a questo gemito di amore, chi non risponderà dandogli tutto l’amore di cui è capace il nostro cuore? Chi non sarebbe pronto a versare il suo sangue, a consumare la sua vita in un martirio lento e ininterrotto?…».

 

         Così, quella buona Madre (che, attualmente mentre scrivo, vive ancora) mi incoraggiava nella prova e i suoi insegnamenti, quanto più li ricevevo come mandati da Dio, tanto più facevano del bene alla mia anima.

         Il brano della lettera seguente è di un’altra grande anima, morta da poco in concetto di santità: Anita Cantieri, alla quale pure accorsi chiedendo l’aiuto delle sue preghiere:

 

         «Mi sono compiaciuta della sua lettera di felicitazioni, perché sono sicura che viene accompagnata dalle preghiere di cui tanto ho bisogno. Anch’io la ricordo davanti a Gesù, perché sia nelle sue mani strumento di gloria e perché, mediante l’adempimento pieno dei disegni divini, lei possa essere investita dalle sue fiamme divoratrici che la conducano a consumarsi in Dio. L’amore… Oh, quanto racchiude questa breve parola! Per Dio —lo abbiamo meditato in questi giorni— l’amore è abnegazione, umiltà, pazienza, mansuetudine, carità, martirio e che martirio! Se non avessimo la Croce, a dimostrarci l’amore di Dio basterebbe il tabernacolo, con lo scopo di farci vivere di puro amore e di annientamento. Che grazia grande è poter ricevere ogni mattina Gesù! Dono incommensurabile che vorrei fosse concesso a tutti quelli che soffrono. Chieda, Madre, al Signore perché io valorizzi al massimo la predilezione che mi ha concesso. Anita Cantieri».20

 

         Parlava dalla croce di una malattia grave e prolungata che spesso le rendeva impossibile muoversi e scrivere.

 

Rendimento di grazie al Signore

 

         O Gesù, quanto sei buono! Permetti al nemico che ci turbi e ci molesti, però la tua mano, nascosta sotto le persone e le cose, è lì per sostenere quelli che credono nel tuo amore, quando tutto sembra mettersi contro di loro. Cosa sarebbe stato di me quando non ricevevo la tua luce direttamente da Te e non sentivo il tuo amore (quel fuoco che dolcemente consuma e sostenta), cosa sarebbe stato di me, ripeto, se non ti avessi visto nelle creature, sia per ricevere con amore i colpi dolorosi, quanto per vedere Te nelle loro parole e nei loro scritti? Quante grazie e quanta luce avrei perso…, e tutte erano necessarie alla mia debolezza per continuare coraggiosa il cammino che conduce a Te! Grazie, Gesù, per avermi sostenuto con questo mezzo.

         Concedi la stessa grazia a tutte le anime che soffrono prove. Fa’ che abbiano fede in quei momenti di avversità e di lotta, per vederti sopra le acque agitate, nelle medesime persone che ne sono causa involontaria e strumento della tua provvidenza e così possano essere simili a Te nelle ore della tua passione, accettando l’alto onore di essere associate in questo modo alla redenzione delle anime mediante l’immolazione. Ti vedano nei tuoi ministri che parlano loro in tuo nome, raccolgano le parole che escono dalla loro bocca e, senza preoccuparsi di averne tante, né lusinghiere né consolatrici, si accontentino di poche, ma udite e vissute nella fede, convinte che la luce (in certi momenti) nessuno può darla più di Te. Aiutale a riceverla con fede mediante i mezzi che Tu vuoi.

         Così capitò a me con la lettera di un certo vescovo, nella quale mi parlava dei problemi della comunità, ma che terminava con queste parole:

 

         «Il prossimo anno 1940 le porti una ineffabile gioia, cioè, la canonizzazione di santa Gemma. Ella le conceda di seguire le sue orme e di giungere alle più alte vette della perfezione, affinché uniti sempre così, rimaniamo uniti ai piedi del nostro Amore crocifisso…».

 

         So per esperienza quanto bene possono fare parole come queste, ricevute con fede e come si può, se si vuole, trarre da esse forza ed energia per viverle. C’è tutta una serie di tempi diversi. Quando giunse quello di esercitare la fede e l’abbandono, avevo da cercare qui la forza e non nel parlare e nel difendermi, secondo gli insegnamenti datemi dal mio Padre spirituale nelle poche e brevi lettere che di lui mi giungevano dalla Spagna.

         Prima di terminare questo capitolo, nel quale ho parlato dell’aiuto dei miei Padri e di altre anime buone, sento il bisogno di dire qualcosa intorno al più potente di tutti i mezzi che mi sostenne nelle mie angustie: la mia dolce Madre Addolorata e Immacolata, come l’ho espresso nei seguenti versi che composi in quei giorni:

 

ALLA MIA MADRE IMMACOLATA

 

O Vergin purissima, – Maria Immacolata!

Tu sei incoronata – Di luce e candor.

L’origine hai tratto – Dal sen dell’Eterno.

Il germe d’inferno – Su Te non posò.

 

I raggi lucenti – Del tuo bel candore,

M’attraggono il cuore – Mi tirano a Te.

Al solo riflesso – Di tanta purezza

Cammina il mio piede – Con santa fortezza.

 

Quant’anime pure, – Attratte al candore

Del candido fiore, – Votaronsi a Te!

Anch’io fanciulletta, – O Madre, lo sai,

Avanti al tuo altare – A Te mi donai.

 

E quando lottava – Con mia vocazione

Fu innanzi al tuo altare – La mia decisione

Sia all’ombra tua pura – Che serbi il mio giglio,

Qual fu il giorno bello – Di nozze al tuo Figlio.

 

E quando alla lotta – Mi senta io stanca,

Mi dia lena, o Madre, – La tua veste bianca.

Oh, sempre dei puri – È bella la via

Perch’ivi i tuoi piedi – Posaron, o Maria!

 

Mi sia protezione – Ovunque il tuo Manto

E, a l’ora mia estrema, – Rasciughi il mio pianto.

 

                            M. M.

 


17 Madre Maddalena è molto soddisfatta di essere riuscita a portare a termine la biografia della sua Madre e Maestra, la fondatrice del monastero di Lucca, Madre Giuseppa Armellini. Quest’opera ha per titolo: «Una amiga de Santa Gema. Rvda. Madre María Josefa del Sagrado Corazón de Jesús, religiosa pasionista (1850-1921), Edizioni Paoline, Madrid 1953, pp. 446. Attualmente la distribuiscono le religiose Passioniste, C/. Arturo Soria, 257, Madrid-16. È già pronta anche la stampa in italiano. 

18 Si tratta di Suor Alessandra Maria dell’Incarnata Sapienza (Maria Galassi), nata a Palestrina il 29 settembre 1892, morta a Tarquinia il 4 luglio 1977, dove si era ritirata dopo 40 anni circa di residenza nel monastero di Napoli, nel quale era stata superiora per oltre 30 anni.  

19 Cf. Gv 15, 9: «Rimanete nel mio amore».

20 Di Anita Cantieri, nata a Lucca il 30 marzo 1910 e morta il 24 agosto 1942, è stata introdotta la causa di Beatificazione.