1. Il secondo addio

1. Il secondo addio

 

         La nostra vita è costituita da continui «addio»: ogni giorno, ogni ora, ogni momento che passa lo dice e lo ripete a quello che lo ha preceduto. Con le persone succede come con le cose; perché tutto passa e muta.

         Nei disegni eterni della provvidenza era scritto che per due volte avrei dovuto separarmi dalle mie consorelle di Lucca. Nessuno pensi, per i fatti che lì si verificarono, che io non le amassi con tutto l’amore che meritano e devono essere amate le anime che si consacrano al servizio di Dio e che vivono solamente per Lui. In cielo, solo là, sapremo quello che avviene nei cuori che vivono uniti in Dio e che vivono per Lui, si amano in Lui, soffrono per Lui (anche il dolore unisce) e vedono la sua mano paterna in tutto. Io avrei voluto essere di questo numero. Nessuno è buon giudice in causa propria, ma voglio dire quello che penso; se mi sbaglio, i miei Padri (che mi conoscono) correggeranno il mio errore. Credo che in me ci fosse qualcosa di questo, perché, senza lasciare di sentire le prime impressioni delle contrarietà, delle pene e delle umiliazioni, avevo la forza per dominarmi, rialzarmi dalle cadute e proseguire con coraggio. Questo era opera della grazia di Dio che viveva in me e dominava le mie passioni.

 

Preparativi per il ritorno in Spagna

 

         Il 1° luglio 1941, la Rev.da Madre ci comunicò che, finalmente, erano arrivati i documenti richiesti che si attendevano dalla Spagna per potervi tornare. Tanto questa miserabile, come le mie due compagne, ci rallegrammo. L’unica pena che avevamo era di non aver saputo nulla direttamente dalle nostre consorelle di Bilbao, dove dovevamo recarci. Che avrebbero pensato di noi? Non eravamo ritornate quando loro ci chiamarono e le cose ora erano molto cambiate. Inoltre, sotto il silenzio frequentemente si nascondono cose poco gradite, o almeno dànno il motivo per sospettarlo. Prostrata dalle pene di questa incertezza e per i tristi ricordi dei sei anni passati, composi i seguenti versi:

 

UN RICORDO ALLE MIE CARE SORELLE DI LUCCA

 

Al mio partir voglio lasciarti un fiore,

Cara Comunità ove nacqui a Dio;

Per ora resta occulto nell’amore,

Ma un dì saprai che è stato dono mio.

 

Ha le radici sul Calvario Santo,

I frutti suoi si gustano nel ciel;

Qui crescono innaffiati sol col pianto

Occultò qualche lacrima il mio vel…

 

Io pur l’ebbi da sei anni or sono

Quando il Diletto mi chiamò in tuo seno.

Lasciai la Spagna lieta per quel dono,

Per te il mio amor non è venuto meno.

 

Tutto è passato, ma nel divin Cuore

Resta ogni nostra azion, ogni desio…

Signor, tutto purifichi il tuo amore,

Quello che han fatto altri e ho fatto io…

 

Che il fiore mio copra ogni deficienza

Di mia vita passata in mezzo a voi.

Della bontà divina la clemenza

Anche con men d’un fiore viene a noi.

 

Gesù, ci stringi al Cuore tuo penante

Con Gemma santa nostra Protettrice.

In Lei e per Lei, Signor, in quest’istante

Accetta il mio dolor che addio lor dice.

 

                            M. M.

 

         Le mie povere sofferenze trascorse, i timori e le incertezze in cui mi trovavo senza poter comunicare nulla con nessuno, le cosuccie spiacevoli, che osservavo durante gli ultimi giorni che precedettero la partenza…, runii tutto ciò con dei fiori di passione e formai un meraviglioso mazzetto che offrii al Signore per le mani di santa Gemma per il bene di quella comunità. Con questo stesso scopo avevo offerto sei anni prima il sacrificio di lasciare le care figlie di Spagna. Ora rinnovavo ai piedi di santa Gemma la mia seconda offerta per la maggior gloria di Dio, della sua serva e per il bene dell’amata comunità.

 

Congedo emozionante

 

         La sera del 13 luglio, nel congedarci dalla comunità riunita, in ginocchio chiedemmo perdono a tutte delle nostre mancanze. Anche la Madre lo chiese a noi dicendo: «Vi chiedo perdono per le umiliazioni di cui sono stata la causa». Queste parole mi furono di grande consolazione, per assicurarmi una volta di più, che ella non era stata che lo strumento di Dio, probabilmente con dispiacere e soffrendo molto aveva fatto quello che già conosciamo. Le amai molto sia lei che tutte le altre nel Signore.

         La mattina del 14, di buon’ora (verso le sei circa), demmo l’ultimo abbraccio alle quattro o cinque che ci accompagnarono fino alla porta, tra le quali c’era mia sorella Madre Teresa e l’anziana Madre Gertrude, che piangeva più della prima: dava l’impressione di una madre che si separa dal suo unico figlio.

         Il Superiore del Convento dell’Angelo, Padre Fabiano, Passionista, ci accompagnò fino alla stazione. Chi però più di tutti ci accompagnò e guidò la nostra comitiva in modo veramente paterno da quando mettemmo il piede fuori dal convento, come vedremo, fu il Signore stesso.

 

Viaggio accidentato

 

         Secondo l’itinerario tracciato dalla Madre, come ci disse nel consegnarci il biglietto, avevamo appena il tempo per andare alla stazione e prendere il treno. Ci recammo subito là, con un po’ di dispiacere da parte mia per dover lasciare Lucca senza che le mie compagne potessero visitare la casa Giannini dove morì santa Gemma, che pure era molto vicina.

         Nel presentare i biglietti alla stazione, l’incaricato li guardò e disse: «È già scaduta la data…; non valgono». La Madre li aveva riservati per quattro giorni, anche se di per sé erano validi per trenta giorni; in questo modo lei, senza pensarlo, rese possibile quello che noi desideravamo. Il P. Fabiano tornò al convento perché si provvedesse a cambiare i biglietti e noi potemmo andare a visitare la casa Giannini, baciare il Crocifisso che parlò e abbracciò santa Gemma e perfino andare al cimitero a far visita e a pregare sulla tomba del servo di Dio Mons. Giovanni Volpi e su quella della mia venerata Madre Giuseppa. Era il mio unico desiderio, non tanto per soddisfazione mia quanto per darla alle mie due compagne: il Signore nella sua bontà si degnò di soddisfarlo. Questo fu il primo gesto della sua paterna delicatezza, alla quale seguirà una catena ininterrotta di grazie durante tutto il lungo viaggio fino all’arrivo in Spagna.

         Partimmo da Lucca il 15 luglio 1941 in direzione di Port Bou, l’unico posto di fermata se non avessimo avuto l’intoppo che riferisco. Arrivate a Ventimiglia, frontiera italiana, la polizia ci chiese chi fosse Madre Maddalena… «Le altre due possono continuare il viaggio; lei no, come italiana ha bisogno dell’espatrio per uscire dalla propria nazione che si trova in guerra». Quel documento dovevano spedirlo da Roma. Immediatamente si inviò un telegramma ai nostri Padri perché lo sollecitassero, comunicando anche alle nostre consorelle di Lucca l’inconveniente per poter continuare il viaggio. Per il momento fu tutto inutile: era assente la persona che doveva firmarlo e non lo si poté ottenere fino al tre di agosto.

         Passammo quel tempo come ospiti in un convento vicino alla stazione, che apparteneva alle buone suore di santa Marta. In quel contrattempo ammirammo di nuovo la bontà del Padre celeste che volle farci passare 19 giorni in quel luogo così gradevole d’estate, all’aria del mare, riposando e respirando a pieni polmoni nell’ampio giardino delle caritatevoli religiose, situato sopra un’incantevole altura. Lì facevamo, per quanto ci era possibile, la nostra vita che facevamo in convento: la recita delle ore, la Messa, la Comunione, aspettando tranquille e serene che il Signore risolvesse il contrattempo che era successo il giorno appena riferito.

         Il 4 (agosto) di mattina giungemmo a Marsiglia. Avevamo trascorso una notte in treno senza dormire per cui eravamo stanchissime. Proposi allora alle mie consorelle di fermarci per riposare una notte con le religiose Serve di Maria, molto conosciute dai parenti di Madre Margherita, i Marchesi di Barrón, che erano stati benefattori di questa comunità. Esse, memori di questo, si sforzarono di ospitare la soprannominata Madre, ma non fu loro possibile accoglierci tutte e tre per mancanza di posto. Io e la Madre Gemma andammo pertanto dalle Suore di san Carlo di Lione, riunendoci di giorno con la Madre Margherita. Il giorno seguente questa si svegliò con la febbre, ragion per cui dovemmo restare lì ancora tre giorni.

         Giungemmo alla frontiera spagnola l’8 agosto. Alla dogana il Governatore mandò a Gerona la comunicazione del nostro prossimo arrivo, affinché qualche persona amica venisse a riceverci alla stazione, come grazie a Dio avvenne, conducendoci alla loro casa con grande amorevolezza, perché ci riposassimo.

         Vedendo la bontà dei signori Bofil, che ci accolsero con così grande attenzione, decisi di restare lì ancora qualche giorno e di scrivere alle monache di Bilbao per sapere quello che pensavano del nostro ritorno in convento. In quella lettera aggiunsi: «Sappiamo che lì c’è poco posto. Se Dio ci aprirà la strada, pensiamo ad una nuova fondazione: per questo la nostra sosta in quella casa sarà per poco tempo». Non so come osai scrivere una cosa simile, perché non avevo neppure il permesso per tale fondazione. Il Signore lo permise, giacché da quella frase, come vedremo, dipese la fondazione. Rendendosi conto di che cosa comportava questo, le buone religiose ci rimasero male e parve loro meglio che noi non entrassimo nel convento di Deusto.

 

Si chiudono le porte di Deusto

 

         La cosa, in un certo senso, era comprensibile. Quelle religiose dovettero riferirci questo con grande dispiacere, specialmente la buona Superiora Madre Maria Vittoria, così attenta e compita. Poveretta; che brutti momenti dovette passare! Temettero che si sarebbe sconvolta la comunità. Pensavano forse che qualcuna sarebbe venuta con noi e si spaventarono davanti alle spese e allo sconvolgimento che comportava una nuova fondazione, per la quale non si sentivano preparate o perché (e questo, credo, fu il motivo principale) Dio voleva, dopo tante dimostrazioni di affetto e simpatia, che non venissi ricevuta in quel convento che potevo chiamar mio più di ogni altro, perché quelle che vi stavano erano tutte figlie mie. Quando il Signore desidera favorirci con qualche goccia del suo calice ed imprimere in noi qualche sua nuova impronta, non gli mancano i mezzi.

         In quella casa così ospitale dove ci trovavamo non potevamo restare che qualche giorno in più soltanto, senza abusare della loro bontà. Perciò, non sapendo cosa fare, mandai un telegramma a San Sebastián, alla signora donna Sofia Olaso di Chalbaud, annunciandole il nostro arrivo e il desiderio di farle visita. Rispose che ci avrebbe aspettato alla stazione e lì giungemmo alle nove di sera.

         Quella buona signora e i suoi figli ci ricevettero con una bontà materna fino alla venerazione e in lei si risvegliò il desiderio precedente di fare una fondazione. Chiesero il permesso al vescovo di Pamplona per aprire una casa in Navarra e lo ottennero.

         Quanti giri dovettero fare i suoi figli, stimolati dalla figlia, donna Mary, vedova di Lezama-Leguizamón, per trovare un’abitazione che avesse un giardino adatto alle finalità! Sicuramente gli angeli devono aver contato i loro passi e li avranno scritti nel libro delle eterne ricompense. Ci condusse pure nella sua carrozza da San Sebastián fino a Vitoria per parlare con il vescovo, che era il nostro Superiore, per chiedergli il permesso di restare in quella casa finché continuavamo a lavorare per il medesimo obiettivo. Questi, vedendo la buona signora, donna Mary, tanto ben disposta e decisa di aiutare quell’opera in progetto, ben volentieri ci concesse a viva voce tutti i permessi, con la fiducia che presto potessimo comunicargli qualche decisione concreta. Purtroppo, nonostante il nostro continuo darci da fare e l’averlo perfino a pubblicato nel giornale, non fu possibile trovare un luogo adatto nella diocesi di Pamplona. Il vescovo di qui ci aveva detto infatti che ci ammetteva a condizione che non facessimo una fondazione nella capitale, giacché là c’erano già molti conventi.

 

Un incontro con il Padre Generale

 

         In quel tempo venne in Spagna per presiedere i Capitoli il nostro Padre Generale, il Rev.mo P. Tito; lo stesso che quando noi partimmo dall’Italia, ci aveva negato il permesso per fare una fondazione. Appena saputo del suo arrivo, noi ci mettemmo immediatamente a disposizione per avere un colloquio con lui. Ci rispose che aveva il tempo limitato e che non poteva spostarsi dal convento di Deusto dov’era e che perciò andassimo noi da lui per parlargli. E così avvenne.

         Prima di riferire il risultato dell’incontro, voglio presentare le ragioni di un mio atteggiamento che a prima vista potrebbe sembrare poco lodevole e quasi detestabile. Per arrivare dove si trovava il P. Generale, si dovette passare davanti al convento delle nostre consorelle di Deusto: luogo di molti e graditi ricordi, comunità verso la quale provavo molto affetto perché tutte quelle che vivevano lì erano mie figlie o consorelle. Le mie compagne, come era logico, dissero con naturalezza e spontaneità: «Madre, andiamo a salutarle!». Nonostante avessero rifiutato di accoglierci, io provavo un grande desiderio di tornare a vederle e a sentirle e perciò dovetti farmi non poca violenza per mantenere il no e sostenermi con la testa, più che con il cuore.

         Era vacante l’ufficio di Superiora e in quella stessa settimana dovevano avere il Capitolo per l’elezione. Avrei dovuto parlare con la Madre Vicaria che pure stava per concludere il suo incarico e non era al corrente delle cose che erano successe nei mesi precedenti. Perché cominciare conversazioni inutili e penose da entrambe le parti? In tali circostanze non desideravo parlare con loro e tanto meno entrare in casa. Avrei potuto forzare la loro libertà prima del vicino Capitolo e perfino orientare il loro voto verso la sottoscritta. Questo mio atteggiamento sorprese le mie compagne, ma io ripetei il mio no: sarebbe stato imprudente trattenerci lì finché non avessero celebrato le elezioni.

         Noi ci presentammo un po’ confuse al Rev.mo Padre Generale. Nel vederci lasciò appena che lo salutassimo e poi iniziò a riprendermi con serietà in questo modo: «Madre Maddalena, Madre Maddalena: tanto tempo fuori dalla clausura… Ma che cosa fa? Non sa che ha fatto il voto e che può fare peccato grave non adempiendolo? Perché così tanto tempo fuori dalla clausura? Perché non è entrata immediatamente, subito dopo il suo arrivo, nel convento di Deusto? Che cosa sta facendo?». Io mi misi in ginocchio e lo ascoltavo in silenzio e umiltà, ma serena e tranquilla nel mio intimo. Quando ebbe detto tutto quello che voleva, una ad una gli mostrai le lettere, incominciando da quelle che parlavano della nostra sosta a Ventimiglia fino all’arrivo a Barcellona e la risposta delle consorelle di Deusto. Dopo averle lette scosse la testa e disse: «Non so nemmeno io che fare». Si rese conto che né le monache, né la curia di Vitoria volevano che noi ritornassimo al nostro convento.

         D’altra parte, donna Sofia gli chiedeva con insistenza il suo permesso perché restassimo con lei finché avessimo trovato una casa dove fare una fondazione, dicendo che lei stessa ci avrebbe aiutato e che nel convento di Deusto non c’era posto, che avevano molte suore ammalate ecc. In conclusione il P. Generale, cambiando il tono di rimprovero che aveva avuto all’inizio, disse: «La sua situazione non è regolare e bisogna legalizzarla. Scriva al vescovo e gli dica che vi conceda di rientrare nel convento di Deusto o almeno che vi autorizzi a ritirarvi tutte e tre in una casa aperta. Non conviene che si prolunghi ulteriormente la vostra permanenza in una casa non religiosa, anche se è di ottime persone. Gli dica da parte mia che in questa situazione non potete stare e che per continuare fuori del convento avete bisogno di un permesso scritto. Con una autorizzazione a voce potete restare alcuni giorni, ma non è possibile né tollerabile per mesi».

         Lo vidi perfettamente e ringraziai Dio che ci dava Superiori che vegliavano su di noi. Domandammo molto contente la sua benedizione e ci congedammo senz’altro desiderio che quello di adempiere quanto prima i suoi venerati consigli.

 

Un’attesa piena di angustie

 

         In attesa della risposta del vescovo, le buone persone di San Sebastián, specialmente quelle della casa dove ci eravamo sistemate, continuavano in giro di qua e di là alla ricerca del luogo per la fondazione. Tutto fu inutile: non si trovò una casa né giunse la risposta da Vitoria. Scrissi di nuovo, ma nulla. Il silenzio non mi stupiva. Ci sono cose che niente più del silenzio riesce a nascondere. La riunione capitolare di Deusto non era stata favorevole alla nostra riammissione. Noi non potevamo opporci alla decisione della comunità e nemmeno per loro era piacevole darci un altro rifiuto. Tenevano aperta la questione per vedere se si risolveva secondo i desideri delle persone che lavoravano per noi.

         In questa situazione Dio permise che venisse eletto come provinciale il Rev.mo P. Jacinto di san Paolo, che aveva sempre mostrato desiderio di aprire una nuova casa di religiose Passioniste e per la quale, quando era Maestro dei novizi, aveva pregato e fatto pregare molto. Nell’assumere l’incarico parlò di noi al Rev.mo P. Generale, esponendogli il suo desiderio di servirsi delle tre religiose che si trovavano fuori della clausura per incominciare l’opera. Il Padre Generale, che non era contrario alla fondazione, ma soltanto preoccupato perché non vedeva sostegni a sufficienza né mezzi che bastassero per portarla a termine, davanti a questa proposta del P. Provinciale, diede immediatamente il suo permesso, perché sotto la sua direzione si desse inizio all’opera. In questo modo si regolarizzava anche la nostra situazione irregolare che ci preoccupava assai.

 

Incomincia a farsi chiaro l’orizzonte

 

         Il P. Jacinto ci comunicò da Madrid, con grande soddisfazione, l’approvazione del Superiore Generale, invitandoci ad andare in giro per vedere se trovavamo una casa per la fondazione. Rimasi perplessa per vari giorni sul da farsi. Mi consultai con un santo e dotto Gesuita (dal quale ci confessavamo da quando eravamo arrivate lì) domandandogli se potevamo andare, nonostante che il vescovo non avesse risposto alle nostre lettere. E lui ci rispose: «Essendo un Provinciale che le chiama, possono andare; anche perché questo è l’unico rimedio che si presenta loro per trovare una soluzione alla situazione che si sta prolungando fin troppo». Con questa garanzia, il 1° ottobre partimmo per Madrid con l’obiettivo di incontrarci con il P. Provinciale e con il suo primo Consigliere, il P. Angelo.

         Il 10 ottobre, accompagnate da questi Padri, facemmo visita al vescovo, Mons. Leopoldo Eijo y Garay e ricevemmo la sua piena approvazione per fondare a Madrid un convento con queste parole che meritano di essere riportate letteralmente: «Sono molto felice di accogliervi nella mia Diocesi. Venite! Vi ricevo con le braccia aperte». Era molto devoto di santa Gemma, perché era nato lo stesso anno in cui era nata la Santa. Era stato ancora lui a dare l’approvazione per la fondazione di Deusto, 23 anni prima, in qualità allora di vescovo di Vitoria. Egli avrà questa gloria in cielo, come molto riconoscenti chiedono a Dio le Passioniste.

         Con l’approvazione del vescovo, data—come abbiamo detto— in forma stupenda, ci si allargò il cuore e facemmo il primo passo serio in favore della sospirata fondazione di Madrid. I Padri si decisero di affittare una casa con giardino in condizioni molto buone, situata nella Cuesta del Zarzal, al n. 28.

         Il Padre Provinciale, con molta delicatezza, volle attendere (per fare il contratto della casa) che arrivasse il Rescritto della Santa Sede e la definitiva approvazione del Padre Generale, dopo aver inviato a Roma quella del vescovo con il suo pieno consenso. Tutto questo ci procurò la pena di vedere prolungarsi la nostra permanenza tra le buone religiose Missionarie di Maria che ci avevano accolto con molta bontà, noi ci rendevamo però conto che, per lo spazio ristretto di cui disponevano, causavamo loro un sacrificio non piccolo.

 

Una difficoltà imprevista

 

         Il 25 novembre ci chiamarono dalla Nunziatura. Restammo un po’ stupite. Cosa sarà successo? Il mio cuore presagiva qualcosa da offrire allo Sposo e così fu.

         Ci riceve don José Goldáraz, il segretario del Nunzio. Credette doveroso prepararmi a quello che stava per annunciarmi… «Lei è la Madre Maddalena?», disse. «Devo comunicarle una cosa poco gradita che forse la stupirà e le causerà dispiacere». Io risposi: «Lo sento Monsignore. Dica liberamente quello che crede. Niente è male né può far male di quello che capita, se lo si prende dalle mani di Dio…». Incominciò a leggere una lettera del vicario generale di Vitoria che in sintesi diceva questo: «La Madre Maddalena, con altre due religiose Passioniste, si trovano fuori della clausura e se ne sono andate da questa Diocesi senza il nostro permesso. Abbiamo saputo che pretendono di fare una fondazione a Madrid. Sappiamo che sono delle insubordinate che stanno andando in giro per il mondo da un luogo all’altro, perché la Madre Maddalena non vuole rientrare nel convento di Deusto ecc. ».

         Nell’ascoltare quella relazione io non potei rispondere, perché le lacrime cadevano dai miei occhi nell’udire che io andavo contro la volontà dei Superiori. Il buon Monsignore mi incoraggiò: «Dica, Madre, liberamente, quello che succede, perché io possa rispondere al Rev.mo Vicario».  Io gli replicai: « Monsignore, ma come può dire questo se ha due lettere mie scritte in nome del nostro Padre Generale, chiedendo di rientrare nel convento di Deusto, senza che mi abbiano risposto? Qui siamo venute senza permesso, contro nostra voglia, ma su consiglio di un saggio confessore che era al corrente della nostra penosa situazione e che ci assicurò che potevamo venire, perché eravamo chiamate da un Provinciale. Anzi, per smentire questa falsa opinione, che potrebbe diffondersi con danno per la fama del convento di Deusto e mia, secondo la quale io sono ribelle ai Superiori, io sono disposta ad andarci immediatamente, una volta che venga comunicata loro la nostra decisione di ritornare là. Se Dio vuole che facciamo qui una fondazione, partiremo da quel convento…». Il Segretario concluse: «Calma, Madre, calma e abbia fiducia che le cose si aggiusteranno…».

         Nell’arrivare a casa, nonostante sentissi il cuore scoppiare, la mia coscienza era tranquilla, perché mi sentivo serenamente disposta a tutto quello che i miei Superiori avrebbero deciso della mia povera persona.

         Scrissi alla nuova Superiora di Deusto dicendole che, per disposizione dei Superiori, io speravo di poterle abbracciare tutte nel giro di pochi giorni per restare poi sempre in quella comunità. Due giorni dopo, quando la lettera era forse appena arrivata a Deusto, ci chiamano di nuovo dalla Nunziatura per dirci che era stato là il vescovo di Vitoria ed aveva parlato del problema della nostra fondazione e che il vescovo aveva detto: «Ma, perché vogliono andare a Deusto se hanno l’approvazione del vescovo di Madrid e la sua per fare una fondazione qui?». Il Segretario della Nunziatura concluse disponendo che noi restassimo pure là, tranquille. Questo procurò a noi una grande consolazione; però io aggiunsi: «Manca ancora qualcosa, perché le parole volano». Gli mostrai in questo modo il desiderio di avere per iscritto quello che a voce mi aveva detto. Mi assicurò che lo avrebbe fatto, come di fatto avvenne. E così invece di un permesso ne ottenemmo due, benché non fosse necessario quello del Nunzio.

         Ritornammo a San Sebastián per riprenderci le cose che avevamo lasciato là e nel ritorno definitivo a Madrid passammo a congedarci dalle nostre sorelle di Deusto. Quale consolazione da entrambe le parti! Nonostante fossimo separate dalla grata, quanti abbracci ci demmo con il cuore, dimenticando tutto il passato. Ci ossequiarono con un buon banchetto e vari oggetti per la cappella, promettendo di darcene ancora e di restare unite per lavorare per Gesù Crocifisso, amandolo e facendo a gara nel sacrificarci per la nostra santificazione e la salvezza delle anime.