30. Gli ubertosi pascoli

30. Gli ubertosi pascoli

Mi compiaccio nel pensare che Dio aveva cura di me, pecorella del suo gregge. Senza paura di sbagliarsi possono pensare la stessa cosa tutte le anime, quando dico: «Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d’Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare» (cf. Ez 34, 14-15).

Per «monti di Israele» si può sicuramente intendere la casa di Dio, dove le anime trovano «abbondanti pascoli» che le ricreano e allo stesso tempo le saziano. Il mondo veramente è un arido deserto se si paragona agli Istituti religiosi o alla vita religiosa; e questi sono i «verdi e fertili prati» dove sostano le anime che hanno avuto la sorte di esservi chiamate dal divino Pastore. Io, per misericordia del Signore, ebbi questa fortuna e stavo ricevendo beneficio da essa. Dovunque e in ogni momento potevo saziare la mia anima che si trovava in una condizione di libertà da non poterne immaginare una uguale in nessun altro luogo della terra. L’ordine, la pace, il silenzio, tante ore trascorse nel raccoglimento e nella preghiera, le frequenti letture spirituali, le istruzioni, i suggerimenti e gli esempi… In convento non manca nulla, anzi l’anima trova tutto con profusione e abbondanza.

Fuori, succedeva spesso che per non richiamare l’attenzione, dovevo nascondere i miei atti virtuosi, le opere buone, le mortificazioni, insomma il mio amore a Dio. Qui, invece, tutte pensavamo, operavamo, desideravamo la stessa cosa. Le virtù delle une servono per eccitarle nelle altre, senza che a nessuna sembra essere troppo, poiché in tutte si vedono virtù, vivo desiderio di avanzare in esse, fame e sete di perfezione e santità. Santa libertà di quelle anime che servono a Dio nella vita religiosa, mai potrà essere apprezzata nel suo giusto valore, nemmeno da quelle che di te godono, e molto meno da quei poveri mondani che ignorano il valore dei beni spirituali.

Gli alimenti dell’anima

I mezzi dei quali il Signore si servì per offrire alla mia anima questo pingue alimento, perché si irrobustisse nei verdi prati degli ubertosi pascoli, furono l’orazione, la Sacra Scrittura e l’apertura dell’intera anima mia per una completa manifestazione ai miei superiori.

I) L’orazione, ossia la segreta attrattiva che mi dava il Signore per raccogliermi in silenzio e solitudine, era stata per me nel mondo una fonte di continui sacrifici, sofferenze ed immolazioni. Quante volte, quando Dio mi chiamava interiormente, mi chiamavano anche le occupazioni esteriori, le convenienze sociali, ed era necessario anteporre queste. Nel convento, invece non avveniva così, ma tutto il contrario. Qui siamo sue, siamo e viviamo soltanto per Lui. Lui può disporre di noi tutte le ore, le cose materiali sono secondarie, vengono dopo. Benché si faccia poco o rimangano indietro, non si perde per questo la pace. Si perdona tutto subito e con piacere quando si vedono le anime tendere alla perfezione, anche se esteriormente mancano in qualcosa o sono poco adatte per le cose materiali. Insomma nel convento quello che si apprezza è la virtù, la santità. Quello che si cerca al di sopra di tutto è Dio e le cose eterne. Questo era ciò che mi piaceva e mi confortava assai, perché io non sempre ero adatta alle cose materiali.

Invece, per restare con Gesù, per intrattenermi sola con Lui (si comprende: quando è permesso) in coro, o nella cella, non restavo mai indietro; il Signore mi attirava con tanta forza!… Mi sembrava che scendesse sulla mia anima un profumo divino che mi inondava, avvolgeva e attirava. Io correvo dietro a quel soave odore e mi dilettavo in quei prati, mangiando e bevendo a quel banchetto di perenne festa, alla mensa della verità e dell’amore. Beata mille volte l’anima alla quale è toccata in sorte una beatitudine così grande!

Ogni giorno vedevo con sempre maggior chiarezza queste verità, perché illuminata dal Signore. Infatti solamente con la sua luce si può vedere Dio: «Et in lumine tuo videbimus lumen».44 Quanto di più conosce Dio l’anima in convento! Come crescono i suoi apprezzamenti per le cose spirituali e il suo disprezzo per quelle materiali e caduche! Benché una persona sia molto spirituale nel mondo, nel convento la sua virtù resta sempre o quasi sempre nascosta per gli orizzonti elevati che può vedere da quelle cime, «i monti di Israele».

II) Il secondo mezzo fu la Sacra Scrittura. Fu senza dubbio lo Spirito Santo, e nessun altro, che risvegliò in me la sete di bere a quella pura ed abbondante sorgente e di trovare lì tutto quello di cui aveva bisogno la mia anima. Quanta ansia avevo già da allora di conoscere e di comprendere il senso di quei testi sacri! Erano tante che per calmarle mi venne concesso il privilegio, non dato alle altre cinque o sei postulanti (nonostante io fossi la più giovane), di leggere la Sacra Scrittura per intero con il testo latino ed italiano, ad eccezione del Levitico e del Cantico del Cantici.

Quest’ultimo, non so perché, me lo proibirono. Penso che fu perché non ero degna di leggere cose così alte dell’amore divino. In altro modo mi sembra che la mia anima avrebbe gioito molto nel conoscere quegli idilli e quelle sante follie dell’amore di un Dio, folle di amore per le sue povere creature. Forse allora fu opportuno così, perché era così intenso il mio amore che forse non sarei stata capace di frenare i miei ardori al contatto di quel santo fuoco. Andavo assaporando quello che del Cantico leggevo e comprendevo nel Breviario, che doveva essere sufficiente per quello che allora la mia anima poteva assimilare di un così sostanzioso alimento. Me lo andava dando il Signore come madre prudente, a poco a poco, perché con quello stesso alimento la mia anima si andasse irrobustendo e disponendo a riceverlo poi con più abbondanza e quando arrivasse l’ora stabilita dalla sua infinita bontà, potessi sedermi alla mensa regale dove mi sarei servita a piacere e liberamente di tutto quello che desideravo. Quanto buono siete stato sempre con me, o Signore!

Con quanta attenzione ed impegno ascoltai la prima istruzione che la Madre Giuseppa ci tenne sul Breviario! Ricordo molto bene tutto quello che mi disse la prima volta, quando me lo consegnò. Spesso il Breviario suole essere per le postulanti, che non lo comprendono minimamente, insipido e come un insieme di enigmi incomprensibili. A me già da allora non fece quell’effetto. Anche senza intendere ancora molto, il mio cuore percepì e sentì quello che lì c’era per lui. Sentì che lì c’era un fuoco (ignis, charitas)45 che doveva servire un giorno per incendiarlo sempre più del suo amore…

Il Breviario, ci disse la nostra Madre e Maestra, si divide in quattro parti.

La prima parte contiene quello che c’è di più prezioso nella liturgia, i salmi che sono il fiore e l’essenza scelta dalla Chiesa per offrire a Dio la più pura lode. In quella medesima lode si rivolgevano a Lui nostro Signore Gesù Cristo e la santissima Vergine. Contengono gli affetti più teneri e vivi, i più ardenti, le più confidenti espressioni, gli atti più sinceri di umiltà, di pentimento, di dolore, di desiderio, di fiducia, di amore. Sono i salmi che ci rivelano più di ogni altra cosa la grandezza, il potere, la sapienza, l’eternità divina, ma soprattutto quanto Dio ci ama, la sua infinita misericordia, la sua bontà, il suo amore. Tutto questo io lo compresi molto presto.

La seconda contiene la Sacra Scrittura e il Vangelo, cioè, il Vecchio e il Nuovo Testamento, diviso con infinita sapienza e precisione nelle diverse feste e nei diversi periodi dell’anno. Ogni cosa è nel suo tempo e luogo corrispondente, appropriato alle feste che la santa Chiesa celebra per guidare in questo modo più facilmente le anime a comprendere i misteri che racchiude e a ricavare da essi profitto, attraverso gli esempi vivi e le similitudini che aprono la porta alla intelligenza e incendiano il cuore d’amore.

La terza contiene un compendio della vita del santo del giorno e una breve orazione per chiedere a Dio, per sua intercessione, la grazia che in modo speciale lui ha ottenuto per favorire quelli che lo invocano.

La quarta sono gli uffici propri dei santi, secondo il loro grado, stato e sesso ecc. La Madre ci mostrò insomma nell’insieme tutta la somma eccellenza di quel libro con il quale si recita l’Ufficio Divino.

Aggiunse queste parole: «Ufficio Divino indica già chiaramente di che cosa si tratta, di una cosa divina, del cielo e non della terra». Era di questo che la mia anima aveva fame, di questo che aveva bisogno. Di questo mi nutrivo, mi fortificavo ed ero affascinata da quel cibo adatto ai miei bisogni. Quanto ero contenta! Quanto ero riconoscente! Il Signore veramente è stato sempre con me Padre, Madre e più che Madre per le delicatezze con le quali mi è venuto incontro ed ha vegliato sopra di me per conquistarsi tutto il mio povero amore. Sono le prove che era Lui e solo Lui che attirava così la mia anima.

Trovo alcuni miei appunti che stesi prima di entrare in convento, quando poco o nulla mi avevano parlato di quello che è la Sacra Scrittura; dovevo avere intorno ai quattordici anni. In un libretto che ancora conservo, trovo appuntato in latino: «Adjuro vos, filiae Jerusalem, si inveneritis dilectum meum, ut nuntietis ei quia amore langueo».46 E delle frasi sopra parole del Cantico dei Cantici, con il testo latino, come questa: «Aperi mihi soror mea, amica mea».47

Il fatto che potessi assaporare già da allora quella manna celeste, mi persuade che era il Signore che mi attirava e non le creature, né il desiderio di sapere; era il suo amore che faceva violenza alla mia povera anima battendo già alla sua porta perché gli offrissi il mio senza riserva.

III) L’altro mezzo del quale si servì il Signore per dare forza e irrobustire la mia anima e farle godere nello stesso tempo una grande pace e tranquillità, fu l’aprirmi con i superiori, l’avere una illimitata fiducia, con quelli che mi dirigevano. Mons. Volpi, come già dissi, se ne andò da Lucca e non potei parlare più con lui. Il confessore della comunità era molto buono, ma all’inizio non mi comprese molto. Quelli che mi conoscevano molto bene e ai quali aprivo con frequenza la mia anima, erano il P. Germano e la Madre Giuseppa. A loro ugualmente, senza distinzione né preferenza (infatti erano entrambi dotti e santi), rendevo conto della mia anima e mi attenevo puntualmente ai loro consigli. Il P. Germano mi aveva detto che con la Madre Giuseppa potevo parlare di tutto ed ascoltare i suoi consigli come se fosse lui. Lo facevo senza difficoltà, anzi con immensa soddisfazione nel vedere che i due andavano perfettamente d’accordo.

Una delle prime cose che mi proibirono furono le penitenze e le mortificazione esteriori, delle quali ero molto desiderosa. Un poco dovette essere per la mia scarsa salute; ma il motivo principale era da ricercarsi, come mi disse il P. Germano, nel fatto che essendomi esercitata già abbastanza in cose esteriori ed essendo in monastero già indicate dalle regole le penitenze che si dovevano praticare, non c’era più bisogno che io le cercassi, perché mi potevano essere dannose, distraendomi dalle interiori, alle quali invece dovevo dedicarmi con tutto l’impegno. Mi disse che il primo e principale impedimento da cui dovevo liberarmi, se volevo veramente farmi santa e stringere la mia unione con Dio, era proprio la volontà. Il Signore mi aveva concesso una buona intelligenza, perspicace e pronta, che capiva le cose, come si dice, al volo. Questa mi faceva talvolta non comprendere tanto presto la lentezza e la scarsa intelligenza degli altri. Il Padre mi raccomandò obbedienza cieca, obbedienza dell’intelletto, pronta e gioiosa, sia nelle cose interiori come in quelle esteriori. Sempre, o da quando mi convertii, avevo praticato questa virtù di preferenza sulle altre; ma, finché rimasi nel mondo, non conobbi il livello della sua perfezione e la sua grandissima importanza, o meglio assoluta necessità, non soltanto per farsi santi, ma pure per fare qualche passo nella vita spirituale. Questo succede agli inizi a molte persone pie: della virtù si hanno idee molto limitate e superficiali, si praticano bene più dal punto di vista materiale che sostanziale e per questo si avanza poco. Il fine che con me si proposero quei due santi era di farmi radicare maggiormente nella sostanza delle virtù. Per questo scelsero l’unica che, praticata veramente, basta per far volare l’anima nel cammino della santità. Grazie a Dio non mi fu difficile quel lavoro, di solito così difficile. Si trattava di svuotarsi e lasciarsi svuotare di quello che c’è di più intimo e proprio e che forma una cosa sola con noi: la volontà, i desideri, le inclinazioni, le idee. Tutto deve sparire perché Dio possa prendere pieno possesso di un’anima.

Il grande ed ardente desiderio che avevo di Dio fece sì che mi sottomettessi volentieri al lavoro, benché non riuscissi a realizzarlo, così presto come immaginavo, alla perfezione. Nella misura in cui Dio mi dava luce io vedevo quanto dovevo approfondire questa spogliazione. Ora che sono passati più di 23 anni da quella data, vedo che c’è ancora molto da fare; comunque, come vedremo a suo tempo, arrivò un’epoca nella quale, con la grazia del Signore, feci un grande progresso in questa materia. Quanto c’è da fare sopra questo punto e quanto sono ingannate quelle anime che, non sentendo i vivi desideri che sentivano prima e non essendo arrivate a una lodevole e santa indifferenza, si immaginano di aver già vinto quel nemico!…

Quando arriva dall’alto la luce che illumina la profondità di cattiveria che racchiude il proprio io, quando si è visto questo abisso, non si pensa più così, ma soltanto ad umiliarsi e mettersi al lavoro per svuotare quella profondità orribile del proprio intimo essere, che si concluderà soltanto quando avrà fine la nostra vita.

Gli insegnamenti del P. Germano si dirigevano a questo, questo era l’unico lavoro che mi raccomandava. Sicuramente è questo l’unico che, fatto veramente, può disporre l’anima alle operazioni della grazia, perché la va svuotando, e nella misura in cui questo avviene, Dio vi prende possesso. Nel mezzo del mio lavoro, godevo anche immensamente: vedevo e sentivo in maniera palpabile che andavo guadagnando terreno ed avanzando nella vita spirituale.

Tutti questi beni, che si trovano riuniti nella casa del Signore, facevano molto felice la mia anima, così assetata di luce e di verità. Oh, quanto bene conobbi e conosco come le anime, finché non si dispongono a questo lavoro interiore sotto l’impulso di una luce superiore (luce e verità che scendono dall’alto), per molto buone e pie che sembrino, non potranno mai salire al monte santo del Signore! Devono infatti chiederle a Dio con sincero desiderio di riceverle, ripetendogli spesso con il Profeta: «Emitte lucem tuam et veritatem tuam; ipsae me deduxerunt in montem santum tuum et in tabernacula tua».48

Pace e santa allegria nel chiostro

Se a questi abbondanti nutrimenti dello spirito si aggiunge la consolazione che esteriormente sperimentavo di vivere intimamente unita, attraverso il legame dell’amore di Gesù, con queste anime pure, scelte tra migliaia, che riflettevano nella serenità del loro volto, sempre sorridente e sereno, la loro bellezza e il loro candore, di avere in comune con loro la vita, i desideri, le aspirazioni, le opere, gli amori, così diversi da quelli dei poveri mondani, è necessario ripetere: felice, mille volte, l’anima che Dio chiama alla vita religiosa, perché può affermare in tutta verità: «in loco pascuae ibi me collocavit».49

Che pace e che atmosfera di cielo si respira, quando riunite in silenzio, interrotto soltanto per la supplica spirituale, lavoriamo (postulanti e novizie) sotto lo sguardo della Maestra e ancor di più di Dio! Ricordo uno dei primi lavori che feci, aiutando a fare un ricamo o una tendina per l’altare della Vergine. La novizia, consorella Gemma, dirigeva il lavoro e mia sorella ed io la aiutavamo (poiché il laboratorio essendo grande, potevamo lavorare molto bene tutte e tre insieme). Io guardavo in silenzio quello che mi diceva di fare. Provai grande soddisfazione, quando mi incaricarono di ricamare una rosa. Oh, la rosa! Mi è sempre piaciuta molto perché è il simbolo dell’amore, e per essa, tra tutti i fiori, ho sempre sentito una particolare attrazione. Tutti mi incantavano, perché mi parlavano di Dio, ma la rosa mi dice quanto lui ama me e quanto io devo amarlo. Offrii alla «Rosa mistica» e Madre dolcissima dell’Amore, quel primo lavoro delle mie mani, pensando con piacere che per parecchi anni sarei potuta rimanere accanto a Maria ad ornare il suo altare, testimone degli ossequi di tanti cuori amanti che sarebbero andati a prostrarsi ai piedi materni di Maria.

Forse (la cosa è molto probabile) questa rosa si trova ancora adesso, mentre scrivo, davanti alla mia dolce Madre, Regina e Signora… O Madre mia, spero che essa continui a parlarti anche del mio povero amore e dei sentimenti di godimento e gratitudine che riempivano la mia anima in quegli inizi della mia vita religiosa e che ti chieda che cresca sempre il mio amore verso di Te e verso Gesù in ogni istante della mia vita, e che vadano sbocciando i petali di una rosa più profumata che ti offrirò al chiudersi della mia vita mortale, il cui profumo rallegri e consoli eternamente il tuo cuore materno.

Dando uno sguardo retrospettivo da questo porto della vita religiosa al mare tempestoso del mondo da dove mi aveva tolto la misericordia del Signore, ricordando con cuore riconoscente le grazie senza numero che racchiude la vocazione che Dio mi aveva concesso, composi la seguente poesia.

LA CHIAMATA E IL PRIMO ANNO NELLA CASA DI DIO

Di mia vita d’aprile negli anni

Forte intesi una voce nel cuore,

Più cresceva col crescer degli anni

E dicevami: «io voglio il tuo amore».

Cieca, ignara del bello, del vero,

Corsi incontro a ciò che offre la vita.

Infelice!, fu folle il pensiero

D’appagar quella brama infinita…

Allor più soave la voce di Dio,

Tornando pietoso, soggiunse al cor mio:

«Tu sbagli!, deh vieni!, da’ a tutto un addio;

Per me t’ho creato, bastarti poss’io».

Tutti del mondo i suoi falsi sentieri

Mi posi innanzi con gioie e piaceri.

Oh, chi non tiene una guida, un aiuto,

In quell’etade, lo vedo perduto.

Son tanti i lacci, le reti, gli inganni,

E solo rose si vede in quegli anni.

Per me pregava la Vergin beata,

La dolce Madre Maria Immacolata.

E quella voce gridommi più forte:

«Bada…; quei fiori nascondon la morte».

Sostai…, e che?, dubitava, o Signore?

Ah, cieca!; e non corsi a donarti il mio cuore!

Ma si’ potente è la voce divina

Né può resister una alma tapina.

Allora le gioie fugaci del mondo

Mi fecer sentir l’amaro che in fondo

Nascondon. Invece l’amor di Gesù,

Gustato una volta si brama di più.

Si opposero molti, col mondo bugiardo.

Va’ lungi, meschino, risposi; già ardo

D’un bene infinito, né altro vo’ amare,

E tu a me quel Bene giammai potrai dare.

Qual colomba la freccia d’amore

la portava nel mezzo del cuore,

Né sapendo ove il piede posare,

Di Gesù m’en volava all’Altare.

Lì, fidente pregava colui

Che dal dardo ferita ne fui.

Oh, la pena d’un cuore ferito

Non si esprime né intende l’udito.

Può comprenderla l’alma soletta

Che in sé tiene la dolce saetta.

L’Onnipotente braccio divino

Tolse ogni ostacolo, aperse il cammino.

E sotto il suo tetto, in cella romita

Condussemi Iddio bontade infinita.

Le care pareti del chiostro diletto

Beata, diceami, tu sei in questo tetto.

In quest’asilo d’amor solitario,

Dove si geme sul Dio del Calvario.

O anime pure, o spose di Dio:

Con voi felice, appieno, son io.

A quelle voci, a quei salmi, a quei canti,

Pareami d’esser già in cielo coi santi.

E poi il pensiero che io pure dovea

Vestir presto la nobil livrea,

Riempìami il cuore di tanto contento

Che i dì passavan qual fosse un momento…

Tu fosti, o Maria, Tu, Vergine bella,

Dopo Gesù, Tu mi fosti la Stella

Che la tua luce brillare fecesti

E tanta sorte raggiunger mi festi.

Fu allor, lo ricordo, tra i gaudi del cuore

Che io dimandai: e la croce, o Signore?

La croce è emblema del vostro seguace;

E a me non date che gioie, che pace?

Oh, a chi lo porta il suo giogo è leggero.

E sol pesante a chi l’ha straniero.

Maria Maddalena


44 Cf. Sal 35, 10: «E nella tua luce vedremo la luce».

45 «Fuoco, amore» (dall’inno «Veni Creator Spiritus»).

46 Cf. Ct 5, 8: «Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che sono malata di amore!».

47 Cf. Ct 5, 2: «Aprimi, sorella mia, mia amica».

48 Cf. Sal 42, 3: «Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi al tuo monte santo e alle tue dimore».

49 Cf. Sal 22, 2. Letteralmente: «In pascoli mi ha collocato».