Libro Primo – Il lavoro che Dio chiede a tutti è l’amore

IL LAVORO CHE DIO CHIEDE A TUTTI E’ L’AMORE[1]*

Amerai il Signore tuo Dio” (cf. Mt 22, 37)

Uno scoglio molto pericoloso, ma poco temuto, contro il quale urtano molte anime che aspirano alla santità, ma che non hanno di essa un’idea esatta, è l’immaginarsi che solo con opere grandi si può mostrare il proprio amore a Dio. Ciò che molti pensano di dover fare per farsi santi è più di ciò che Dio stesso chiede loro. Noi spesso ci sbagliamo quando crediamo di poter fare ciò che realmente eccede la nostra capacità, e questo non serve ad altro che a scoraggiarci. Questo non succede con ciò che ci chiede il Signore, che conosce gli angoli più riposti del nostro essere. Tutto è perfettamente misurato dalle sue mani paterne. Talvolta Dio chiede a certe anime qualcosa di straordinario; ma ciò che chiede a tutti è soltanto di essere amato. “Amerai il Signore Dio tuo” (cf. Mt 22, 37), ha detto a tutti; ma è per volergli dare più di quanto Egli chiede loro, che molte anime o non avanzano o tornano indietro.

Un altro scoglio contro cui non pochi urtano è il pensare che, per avanzare nella santità, bisogna aumentare sempre opere, lavori, fatiche… Pensando così, si allontanano dalla via della verità. Quanto più procediamo nella via del Signore, tanto più disposta si troverà l’anima nostra a lasciarlo operare in noi; e se lavora Dio in noi, sarà Lui a completare il nostro lavoro. E così potremo, come la Maddalena, sederci ai suoi piedi divini, lasciando lavorare, con Marta, quelli che ancora non hanno capito che l’opera della nostra santificazione è opera di amore e di fedeltà all’Amore.

Per andare in cerca di ciò che ci sembra di dover fare, ci allontaniamo dalla santità e dal campo di lavoro che avevamo in noi, nel quale avremmo trovato la perla preziosa. In questo campo siamo sicuri di essere invitati a lavorare dal Padre di famiglia, sicuri che sono già misurate le nostre forze dalle sue mani paterne, secondo la grazia e l’aiuto che Egli vuole darci… Queste sono verità che tutti, più o meno, sappiamo. Ma molto pochi sono quelli che riescono a persuadersene e a regolare le loro opere secondo tali verità, e per questo sono tanto pochi i santi. Chi cerca lo straordinario o le opere appariscenti, o crede che queste siano necessarie per giungere alla santità, è fuori dalla via della verità. E’ un povero illuso che si stanca, soffre e geme in cerca di Colui che calmerebbe in un istante tutte le sue pene, se lo cercasse là dov’è: nella sincerità del cuore.

la via della verita’. Dio è pace, pace infinita. Chi trova la pace, ha trovato Dio. La pace, Dio, si trova unicamente nel regolare i movimenti dell’anima, nell’essere padrone di se stesso, abbandonando tutto ciò che si oppone allo spirito del Signore. E questo, a misura della luce che ciascuno ha; una luce che andrà sempre aumentando secondo la fedeltà dell’anima. Chi spera di farsi santo in altro modo, sebbene lo desideri con ardore, e lavori, soffra e si sacrifichi facendo tutto il bene che si voglia, si sbaglia. I suoi desideri non lo porteranno mai alla santità, perché egli non è nella verità. Va per un cammino dove, giunto alla fine, si renderà amaramente conto di avere, quanto meno, perduto tempo, quel tempo così prezioso in cui, con molto meno lavoro, avrebbe potuto raggiungere il grado di santità a cui Dio lo chiamava e una gloria maggiore per tutta l’eternità. E poiché la nostra gloria è amare Dio, amare meno Dio per tutta l’eternità è quello che ottiene l’anima che perde tempo non andando per il cammino della verità. Solo la verità resta eternamente. Tutto il resto svanisce come fumo, e nulla resta.

Se Dio vuole che qualcuno faccia opere grandi fuori della via ordinaria che porta a Lui, tracciata dalle sue divine mani, non si preoccupi se non gli è chiaro né abbia timore di essere infedele al Signore, angustiandosi per il timore di non fare ciò che gli sembrerebbe invece di dover fare. Non tema, perché non cessa di amare Gesù se s’impegna a lavorare nel suo campo. Il nostro Dio è il Dio della pace e della luce. Dipende infatti da lui illuminare l’anima con una luce più chiara del meriggio, quando vuole qualcosa da essa. Allora Lui stesso opererà grandi cose in quest’anima fortunata, per la sua gloria, per la Chiesa, per le anime e per il mondo intero.

Dio è padrone assoluto di tutto e di tutti, e può servirsi delle sue creature in ogni tempo, come vuole, poiché Lui non ha legge, né regola, né superiori. La sua volontà è mirabile in tutto ciò che fa, e nessuno può impedire che si compia ciò che vuole: in Lui volere è operare.

Fino a che la luce divina non fa capire bene all’anima, da non lasciare in lei alcun dubbio su ciò che le chiede il Signore, essa deve comunque continuare il suo lavoro nascosto, certa di essere nel cammino della verità e della santità. Creda l’anima, senza ombra di dubbio, che Dio è tanto buono da non esigere più di quanto essa può dare, per ammetterla nel numero delle anime predilette dal suo Cuore. Gesù gradisce molto questa ferma convinzione! E’ una conferma, per l’anima, che la bontà di Dio è tanto grande da contentarsi di così poco per ammettere le anime alle intimità del suo amore. La santità è opera di amore, e l’anima che crede di essere amata da Dio non per suo merito, ma perché Dio è buono, confessa grandemente questo amore!

“dammi il tuo cuore”. Quanta gloria dà al Signore chi cerca la santità per questa via tanto sicura, tanto facile e insieme tanto esente da pericoli e ostacoli! Dio non ha nessuna necessità delle nostre opere. Ciò che Lui vuole da noi e ci chiede in modo tanto supplichevole e tenero come se ne avesse bisogno, è l’amore. “Figlio, dammi il tuo cuore!” (cf. Pr 23, 26 vulgata), ci ripete in ogni momento e in tanti modi. Quante volte il buon Gesù chiede alle anime come all’Apostolo Pietro: “Mi ami tu?” (cf. Gv 21, 15-17). Vuole avere la consolazione di sentirsi rispondere: Signore, ti amo! Quando ci visita il dolore, o di fronte a qualche sacrificio, Gesù ci rivolge questa affettuosa domanda: “Figlio mio, mi ami tu?...”. Se noi accettiamo questa prova di buona voglia, con gratitudine e amore, noi diamo a Gesù, non solo a parole ma con i fatti, che sono la prova più certa di ciò che si dice, la risposta che Lui tanto desidera sentire dalle anime che più teneramente ama. Sì, Gesù, ti amo, e perché ti amo, sono disposto a tutto: disponi di me come più ti piace; la mia gioia maggiore è poterti dire che ti amo e provarti con i fatti il mio povero amore.

Tanto vuole Dio che lo amiamo, che il primo dei precetti della sua divina Legge è: “Amerai il Signore tuo Dio” (cf. Dt 6, 5). Chi osserva questo, “legem implevit” (cf. Rm 13, 8: Ha adempiuto la legge). E’ un Padre che chiede amore ai suoi figli. Se questo precetto suppone tutta la tenerezza del paterno amore di Dio, suppone anche durezza di cuore da parte di quei figli che, così, hanno bisogno di un simile precetto. E dopo tanto amore, questo Padre amantissimo non è amato; non è conosciuto il suo amore. E Lui, senza questo amore, non apprezza nulla. Nulla ha importanza ai suoi occhi divini se non è accompagnato da amore. Dio è padrone assoluto di tutto il creato, e anche se noi fabbricassimo migliaia di mondi più belli di quello che abitiamo, non avremmo fatto nulla, assolutamente nulla di grande. L’unica cosa grande che può fare la creatura, aiutata dalla grazia, e che come tale sia ritenuta agli occhi di Dio, è vincere se stessi, correggere i disordini causati dal peccato nell’anima, e mediante questo lavorio nascosto, andare conformando gradualmente le disposizioni interiori del proprio spirito alla volontà di Dio, finché salgano spontaneamente alle labbra le parole dell’Apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (cf. Gal 2, 20).

Allora l’anima non avrà altro volere che quello di Dio. Amerà ciò che Lui ama, detesterà ciò che Lui detesta: il peccato, e potrà dirsi di essa, del suo passaggio su questa terra, ciò che si disse di Gesù, nostro Divino Maestro: Transivit benefaciendo. Passò facendo del bene a tutti (cf. At 10, 38).

Questo è il lavoro di chi vuole veramente giungere alla santità, e s’impegna ad amare e adorare Dio in spirito e verità.

“il mio giogo e’ soave”. Chi non vede che la santità, intesa e praticata in questo modo, è per tutti facile, dolce e leggera? “Il mio giogo è soave, il mio carico è leggero” (cf. Mt 11, 30). Se a qualcuno non sembrasse tanto facile la santità e non sperimentasse quella soavità soprannaturale che tutto addolcisce, stia certo che ciò dipende da lui stesso, e si persuada che non ha ancora trovato il vero modo di portare quel giogo. Chieda luce al Signore e ripeta spesso dal fondo del suo cuore: “Manda la tua luce e la tua verità; siano esse a guidarmi” (cf. Sal 42, 3).

Non c’è cosa che ci possa interessare di più che la santificazione dell’anima nostra; ma questo lo conseguiremo solo se saremo illuminati dalla luce divina. Con questa luce percorreremo il cammino della verità, la quale ci condurrà al monte santo di Dio e ai suoi eterni tabernacoli. L’anima che si appoggia su questi principi, non resterà confusa nell’ultimo giorno. Dio la proteggerà all’ombra delle sue ali. Comincerà già da questa terra a godere le delizie del cielo. E’ così dolce e così sicuro seguire questo cammino e lavorare in questo modo! Questo è un lavoro sostenuto solo dall’amore, perché non ha altro testimone che l’amore. L’amore ci sostiene, ci guida, ci istruisce e ci trasforma in Colui che amiamo, in Dio, poiché Dio è Amore (cf. 1 Gv 4, 8). Allora non dovremo fare più niente perché l’amore fa tutto, e un giorno consumerà anche la nostra povera esistenza. E così, non solo si potrà dire di noi, come di Gesù: passò facendo del bene (cf. At 10, 38), ma si dirà anche, come di Lui: visse di amore, e di amore morì.

Di queste anime sconosciute al mondo ha bisogno la Chiesa di Dio. Il mondo non le conoscerà, né le vedrà, ma non per questo cesseranno di essere il sostegno della Religione e dell’umanità, il cuore della Chiesa e la sua gloria, poiché non si tarderà a riconoscere in queste anime morte di amore, eroi degni degli altari.

Non molti anni fa, Teresa di Lisieux ha lasciato questa terra, dove ha sparso dappertutto il soave spirito di quell’amabile Gesù che prometteva il cielo a quelli che lo avessero amato come bambini. Poiché i bambini non possono fare nulla di grande, ma solo amare, l’amore è l’unica cosa che chiede Nostro Signore alle anime; ed è solo l’amore che fa i santi.

Qui, su questa linea di santità semplice e nascosta, troviamo anche l’amabile santo della gioventù moderna, il giovane passionista Gabriele,[2] canonizzato quarantasei anni dopo la sua felice morte. Nulla di grande si legge che abbia fatto nella sua vita questo religioso. Ma amò molto il Signore e Maria, sua Madre, la cui immagine stringeva, morendo, sul cuore.

Nella rapida glorificazione di questi santi, cosa non ordinaria, sembra che il Signore voglia far capire quanto gli piacciono queste anime semplici che non hanno fatto altro che amare. E così hanno beneficato il mondo più di quelli che passano una lunga vita lavorando ad insegnare la scienza della santità senza essere essi stessi santi, perché la santità sa insegnarla solo chi la pratica.


[1] * Cf. La Vida Sobrenatural, gennaio 1924, pp. 13-18.

[2] Francesco Possenti, che da passionista prese il nome di Gabriele dell’Addolorata, è nato ad Assisi (PG) il 1 marzo 1838 ed è morto ad Isola del Gransasso (TE) il 27 febbraio 1862. Si distinse per il carattere aperto e gioviale, la straordinaria devozione mariana, la stima e fedeltà alla vita religiosa.