Le monache passioniste

Maria Maddalena fu una passionista “autentica”

Maria Maddalena Marcucci del Santissimo Sacramento è qualificata dal Card. Fernando Cento: “Passionista autentica, per la santità di vita e le doti intellettuali”.

Grandemente interessante anzi tanto impressionante ci sembra quello che lei stessa riferì al Padre Juan Arintero, nella prime lettera a lui diretta, a proposito della forma totalizzante della sua vocazione passionista”. Scrive in data 7 febbraio 1922:

“Poco prima di questo fatto (dell’esperienza avuta durante la processione del Corpus Domini 1905), avevo conosciuto P. Germano, Passionista, direttore di Gemma Galgani. La prima volta che mi vide, mi chiamò col nome che ho adesso: Ecco qui, Maddalena Passionista. Rispondendogli io che c’erano molte difficoltà, egli soggiunse: Ti giuro davanti a Dio che tu sarai monaca passionista. Passerà il cielo e la terra, ma le parole di Dio si compiranno. In altra occasione mi disse: Se ti vedessi morta, credo che Dio ti risusciterebbe per farti morire passionista“.

Non solo fu una passionista nel pieno senso della parola, ma amò e promosse come nessun altro il crisma della contemplazione della passione del Signore. E’ lei praticamente la fondatrice del primo monastero passionista in Spagna, quello di Deusto presso Bilbao, ed è la fondatrice di quello di Madrid, dove riposano le sue spoglie mortali. Da queste due fondazioni, ne sorsero altre due in Spagna, attravrso religiose formate da lei, per cui ne può essere considerata confondatrice. Essa deve essere senz’altro considerata confondatrice del monastero passionista di Lucca, avviato da Madre Giuseppa Armellini il 18 marzo 1905, in quanto fece parte delle prime sette religiose, che secondo una visione avuta da santa Gemma Galgani, avevano un significto profetico. In ogni caso il monastero e il santuario di santa Gemma come attualmente noi li vediamo sono opera di Madre Maddalena, perché furono costruiti tra il 1935 e il 1940, ossia durante il suo superiorato, anche se la cuppola del santuario e altri abbellimenti furono portati a termine più tardi.

Madre Maddalena ha grandi meriti anche nel campo della teologia spirituale: essa a ragione è considerata la più grande scrittrice di spiritualità passionista.

Per comprenndere in modo adeguato la sua personalità e la sua missione di passionista è indispensabile quindi studiare e conoscere la storia della fondazione delle monache passioniste e il loro sviluppo.

Ci limitiamo naturalmente a riportare alcune informazioni soltanto sulla fondazione delle monache passioniste di clausura e il loro compito di vita, sufficienti però per scoprire il mondo davvero radioso della vita e storia della passionista “tutta di un pezzo” quale fu Madre Maddalena, nel quale anche i lettori sono invitati ad entrare, per cogliere qualche aspetto da rendere fecondo con sempre nuove realizzazioni, non più o non solo nella modalità monastica, ma di vita e testimonianza in mezzo alla gente di oggi per la loro santificazione.

.

Il video è stato realizzato dal pronipote di Madre Maddalena Marcucci, sig. Eugenio Spadoni, nel Maggio del 2008

.

.

Il primo monastero passionista a Tarquinia

Paolo della Croce dal 2 al 7 dicembre 1720 scrisse la Regola di vita di coloro che sarebbero stati i Passionisti. Prima di ottenerne l’approvazione ecclesiale dovettero però passare 20 anni. Infatti solo il 15 maggio 1741 il Papa concesse, possiamo ben dire per pura bontà, una approvazione di fondo o sostanziale. La stessa cosa capitò alla fondazione di un monastero per donne che intendevano vivere lo stesso ideale di Paolo, di tenere compagnia alla Vergine Ss.ma Addolorata, contemplata presso la croce del Messia Gesù, suo figlio. Le prime idee sono da collocare addirittura nella prima metà del 1730.

Solo però nel 1756 Paolo accettò di far qualcosa di concreto, perché convinto dal benefattore di Tarquinia il Sig. Domenico Costantini, il quale si assumeva in prima persona di finanziare e realizzare l’opera.

Paolo in data 5 aprile 1756 gli scrive:

“Veniamo ora al nostro affare. Dopo aver raccomandato le cose a Dio, devo dirle che ho delle notizie cavate dagli affari propri della Congregazione per le lettere ricevute da Roma, da cui arguisco che sarà poco men che impossibile potersi ottenere da me la grazia da N. S. di potere effettuare tal nota fondazione. Io tanto m’estesi a parlarne a Monsignore Ill.mo e Rev.mo, perché credevo cadesse sopra la di lui ordinaria facoltà. La difficoltà maggiore sarà che non essendo la nostra Congregazione elevata ai voti solenni, è più che probabile che N. S. non vorrà che si fondi un Monastero di Donne del nostro Istituto sinché non ne sia seguita la solenne approvazione”.

La sigla “N. S.” significa “Nostro Signore” e intende il Papa del tempo Benedetto XIV.

Cerchiamo di capire di che “affare” si tratta. Il Sig. Domenico Costantini, dopo la morte del papà Antonio nel 1748, progressivamente prese in mano tutto il patrimonio di famiglia e vedendo che non aveva figli, d’accordo con suo fratello sacerdote, don Nicola, e con sua moglie Lucia Casciola, andava maturando l’idea d’impiegarlo per un’opera di bene, la quale, ma non necessariamente od esclusivamente, poteva essere quella di fondare un monastero di monache della Passione a Tarquinia.

Quest’idea non dispiacque a Paolo, che da anni aveva da Dio dei lumi al riguardo; e non solo lui, ma anche altre persone, come Lucia Burlini. Egli però ne vedeva la pratica impossibilità, perché la Congregazione, non essendo approvata solennemente ed elevata a Ordine religioso, non aveva il ramo femminile e quindi non poteva neppure fondare monasteri. C’era un’unica possibilità, quella di andare direttamente dal Papa e chiedergli un permesso speciale. Il Sig. Domenico con suo fratello canonico, sostenuti da altre persone influenti, potevano, a ben riflettere, abbastanza facilmente ottenere un’udienza dal Papa. Nel caso però il tentativo fallisse, allora si poteva pensare ad un monastero sul tipo di quello del Divino Amore di Montefiascone, con buona probabilità di consenso ed approvazione, perché a tale fondazione era unita un’opera di utilità sociale.

Come si vede l’affare sul quale il Sig. Domenico chiede parere a Paolo non riguardava solo ed esclusivamente la costruzione di un monastero a Tarquinia per le monache Passioniste che non esistevano perché non erano ancora fondate. La questione era più ampia e più complessa. In effetti i Costantini iniziarono la costruzione del monastero, ma presentandola come opera di bene, in attesa degli sviluppi della Congregazione Passionista e dell’eventuale fondazione del ramo femminile.

Da quanto si può desumere dalla lettera che Paolo diresse a Domenico Costantini il 26 marzo 1757, i Sig.ri Costantini avevano deciso di iniziare al più presto la costruzione del monastero per le Passioniste, facendola passare “sotto il titolo di un’opra pia”.

Il discorso ritorna nella lettera di pochi giorni dopo, del 4 aprile 1757.

Infatti da questa lettera si viene informati che per la “grand’Opera” della costruzione del monastero per le Passioniste tutto è concertato e si aspetta solo il momento di iniziare i lavori. Ma già ora incominciano a farsi vive le paure e a farsi sentire le difficoltà. Paolo incoraggia il Sig. Domenico e gli presenta le giuste motivazioni perché si liberi da ogni preoccupazione e “s’accinga alla grande impresa (…) per fare un Nido per le Pure Colombe del Crocifisso, acciò facciano perpetuo lutto per la Santissima Passione”. L’attesa fa soffrire e scava nelle motivazioni, purificandole ulteriormente, ma comunica pure l’energia di grazia per iniziare le opere di Dio senza più tornare indietro.

Trascorsa l’estate del 1757 però, a causa del cattivo raccolto, i benefattori si trovarono in difficoltà ad iniziare l’opera, almeno per allora. In realtà i lavori ebbero inizio due anni dopo, il 29 gennaio 1759, con la demolizione delle vecchie case. Il 9 febbraio ci fu la posa della prima pietra, ma senza alcuna solennità, per evitare eventuali dicerie e complicazioni. Il monastero fu inaugurato parecchi anni dopo, precisamente il 3 maggio 1771.

Una volta, mettendo a confronto le fondazioni dei monasteri realizzate da santa Teresa d’Avila, con quelle dei monasteri delle Passioniste, un confratello, molto istruito, mi disse: – Vedi, se le fondazioni teresiane sono avventurose, quelle passioniste mi danno l’impressione di essere pazzesche!

L’osservazione, più studio la storia passionista, più la trovo indovinata, a partire dalla fondazione del primo monastero passionista di Tarquinia! Ma ciò che porta all’estremo e fa esplodere per così dire la mia meraviglia è la constatazione che se le fondazioni dei monasteri passionisti hanno del “pazzesco”, è da ritenersi ancora più “pazzesco” il fatto che solo in modo “pazzesco” sia possibile ampliare la congregazione e fondare nuovi monasteri, come documenteremo pure trattando della fondazione del monastero di Lucca. La gente saggia, dov’è?

Un dato comunque è certo, ossia che la fondazione del primo monastero delle monache Passioniste fu, possiamo dire, sempre travagliata, ma particolarmente verso la fine, quando sembrava tutto risolto.

Paolo in una lettera ad Anna Maria Calcagnini, del 31 luglio 1770, sembra far allusione alle tribolazioni finali, causate soprattutto dalle incertezze della duchessa Anna Maria Colonna Barberini. Costei, rimasta vedova nel 1767 del duca Filippo Sforza Cesarini, si era dedicata ad un’intensa vita di pietà. Verso la fine di luglio del 1769 si era sentita ispirata ad entrare nel monastero passionista di prossima fondazione. Il Papa Clemente XIV non solo approvò i suoi buoni desideri, ma la nominò prima superiora del nuovo monastero. Le persistenti inquietudini e incertezze della Barberini complicarono però notevolmente le cose e costrinsero a rimandare un paio di volte persino l’inaugurazione del monastero. La duchessa era, dal punto di vista spirituale, una persona di alta qualità, come conferma nella citata lettera alla Calcagnini lo stesso Paolo che la doveva conoscere abbastanza bene, perché aveva avuto con lei antecedentemente saltuari colloqui di direzione spirituale. La chiama infatti: Madre Fondatrice e gran Serva di Dio. In realtà essa nutriva dei forti dubbi, rafforzati e acuiti probabilmente dal fatto che era psicologicamente già alquanto insicura e inquieta, sulla buona riuscita dell’opera, di cui aveva accettato, sia pur contro voglia, di esserne la prima responsabile. Dopo lunga riflessione e preghiera, non riuscendo a liberarsi da tali dubbi e incertezze, preferì tirarsi indietro, lasciando l’incarico ad un’altra. Il suo posto fu preso dalla sorella di Domenico Costantini, Maria Crocifissa, che divenne l’effettiva prima superiora del primo monastero passionista di Tarquinia (VT), inaugurato solennemente il 3 maggio 1771, festa dell’Invenzione della Croce.

La duchessa Anna Maria finirà i suoi giorni fra le Clarisse del monastero santa Restituta di Narni (TR), dove fu per 10 anni anche Abbadessa. Morì il 10 luglio 1799 santamente.

Il prezzo in denaro, sacrifici, prove, umiliazioni per realizzare il primo monastero passionista a Tarquinia è stato elevatissimo, ma altrettanto alto è stato il prezzo per fondare il monastero di Lucca come pure quello di Deusto presso Bilbao e naturalmente anche per quello di Madrid, per il quale Madre Maddalena diede il sangue, con strapazzi infiniti, alla luce della ragione umana forse inutili o almeno inspiegabili, ma non certamente alla luce della fede e delle maturazioni storiche che prima o poi non possono che lasciar scorrere l’acqua della grazia che motiva tutto e fa produrre frutti di senso e di santità alle persone.

Come Paolo concepisce il monastero passionista

A riguardo del monastero egli desidera essere molto chiaro. Ecco quello che, ad esempio, il 16 febbraio 1765 scrive a Donna Crocifissa Costantini, a quell’epoca ancora Benedettina:

“Il nuovo Monastero, se ha da essere dell’Istituto della Ss.ma Passione come noi, devono, come noi, osservare le sante Regole approvate dal Papa, altrimenti me ne lavo le mani, nè mai vi acconsentirò, ché Dio benedetto non vuole. Noi vogliamo fare un Monastero di anime grandi e sante, morte a tutto il creato, e che s’assomiglino nelle sante virtù, penitenza e mortificazione a Gesù Appassionato ed a Maria Ss.ma Addolorata, che deve essere l’Ab­badessa del Monastero”.

Un monastero di alta spiritualità

Le lettere che Paolo ha diretto a Maria Crocifissa Costantini ci presentano il monastero di Tarquinia come il luogo di anime grandi e sante.

Dicendo questo, non intendiamo idealizzare né le cose e ancor meno le persone, consapevoli come siamo che la vera spiritualità non deve mai dimenticare la loro umanità. In effetti, alla fine della soppressione napoleonica del monastero, non tutte le religiose vollero fare ritorno. Che ci sia una eccezione non deve meravigliare e ancor meno mettere in dubbio e impedire di riconoscere la vita eroica condotta da quelle religiose,

Riportiamo qualche saggio di queste lettere appunto per documentare l’alta spiritualità vissuta dalla superiora e dalla sua comunità. Le notizie ci sono molto utili anche per comprendere a grandi linee la spiritualità che veniva proposta nel monastero di Lucca da parte di Madre Giuseppa Armellini e anche da Madre Gemma Giannini in quanto Maestra delle novizie e formatrice. A dire il vero esse più che proporre questa alta spiritualità l’hanno vissuta in prima persona, come la loro biografia ci documenta.

Essere persone di gioia e di pace, pur essendo immerse in un nudo patire

Nella lettera che Paolo indirizzò a Maria Crocifissa il 3 settembre 1754 leggiamo:

“Oh, fortunata quell’anima che in silenzio di fede ed amore lascia far i suoi giuo­chi di carità al Sommo Bene, vivendo abbandonata nel divin suo beneplacito, tanto nella sanità che infermità, tanto in vita che in morte! Oh, mille volte avventurata è l’anima, se sposata con la Divina Volontà, accarezza questa Sovrana Sposa nel nudo patire dentro e fuori, riposando nel seno del Celeste Padre e cibandosi in spirito e verità di questa Manna Divina del Divin Volere, gu­stando e compiacendosi che sia adempito in ogni evento per amaro che sia, poiché mirando con occhio di fede le più grandi amarezze, tempeste, afflizioni di spirito e di corpo, mirandole, dissi, con oc­chio di fede, come gioie sgorgate dal seno del santo amore, non sono più amare, ma dolcissime e soavissime!

Lei ponderi con matura riflessione queste verità e lasci ogni timore. Lei ha segni più chiari del giorno che Dio l’ama e che il lavoro è tutto suo. Lei s’umilii, stia nell’orribile suo niente, ma subito lasci sparire il suo nulla, nell’Infinito Tutto che è Dio ed ivi si abissi e si riposi, con essere sempre vera adoratrice dell’Al­tissimo in spirito e verità.

V. R. mi dice che le dia documenti per ben servir Sua Divina Maestà.

Lei sa quanti gliene ho dati in tanti anni, che servo all’anima sua; ma giacché parto per le Missioni, voglio aggiungere anche questi, che saranno un compendio ecc. Maria Crocefissa deve es­sere sempre vestita da festa; e come? Eccolo. Deve essere sem­pre vestita nel suo interno delle Pene Ss.me di Gesù, crocefissa e morta ad ogni cosa creata e viva solo in Dio. Deve far sparire ogni pensiero di terra, cioè anche delle afflizioni dei parenti, come accenna nella sua lettera, ma deve raccomandar le cose a Dio be­nedetto, e poi perder di vista tutto e proseguir nella sua morte mi­stica a tutto ciò che non è Dio. L’orazione poi deve essere conti­nua, tanto il giorno che la notte, tanto andando come stando, tanto lavorando come riposando ecc., e tale orazione deve farsi nel più profondo del sacro deserto interiore, in altissima solitudine, in riposo amoroso interno in Dio, tutta assorbita e persa in quel mare d’Infinita Carità. Non deve mai lasciare il sacrificio d’olocausto di tutta se stessa al Sommo Infinito Bene, e tal sacrificio si deve fare nel fuoco della Divina Carità acceso in quel sacro fascetto di mirra, che sono le Pene Ss.me di Gesù Cristo; e tutto ciò deve farsi a porte chiuse, cioè con lontananza da tutto il sensibile in pura e nuda fede, in questo sacro fuoco deve Maria Crocefissa lasciar con­sumare tutti i timori o di perdersi o d’ogni altra cosa, fuori che il pacifico timore, che fa star in guardia di non disgustare l’Amato Bene e fa fuggir ogni occasione di offenderlo ecc.

Del resto tutti gli altri devono farsi morire e consumar nel fuoco dell’amore, a segno che chi ponesse Crocefissa sotto un tor­chio, possa vedersi che non uscirebbe altro che pace e amore sin dalle midolla delle ossa.

Viva dunque nell’Amore e del Santo Amore, e stia nel nihilo, non rubi niente a Dio, tutto il suo è il niente ecc. Preghi per me e per la Congregazione, ma lo faccia di cuore, che i bisogni non sono pochi; preghi per il frutto delle Missioni, acciò tutti si convertano e lascino il peccato, le discordie e vi sia in tutti vera pace”.

Puntare su una fedeltà sempre più piena a Dio

Otto anni più tardi, 7 settembre 1762, Paolo ritorna sull’argomento del “nudo patire desolato”. Scrive:

“Ho ricevuto ier sera la sua lettera e l’ho molto gradita nel Signore: io ho esaminato lo stato in cui ora lei si ritrova e che m’accenna nella detta sua lettera, e parmi poterle dire francamente e senza esitazione che lo stato presente in cui si ritrova, è il mi­gliore che sia mai stato in tutta la sua condotta spirituale; e mi creda che per lei non è mai andata tanto bene avanti a Dio, come va adesso. Pertanto io la prego di essere sempre più fedele a Dio, continuando con discrezione i suoi esercizi e sopra tutto le racco­mando un’alta rassegnazione alla Ss.ma Volontà di Dio con vivere abbandonata al suo divin beneplacito in quel nudo patire desolato in cui si trova, senza lamentarsi né di dentro né di fuori, né con Dio né con le creature, riposando come una bambina nel seno del Celeste Padre, lasciando a lui la cura di tutti i suoi eventi, senza pensiero di ciò che sarà di lei, né nel tempo né nell’eternità, ma patire in sacro silenzio di fede, nuda, povera, annichilata su la Croce del dolce Gesù.

Io poi l’assicuro nel Signore che questo stato tanto prezioso porta all’anima sua beni e tesori inestimabili: ma sopra tutto tenga ben chiuso il vaso del balsamo dei suoi patimenti col silenzio e la rassegnazione, acciò non svapori di fuori col cercar contento dalle creature, il che sarebbe dannoso; più rassegnata, più abban­donata in Dio col patire e tacere che sarà, più presto ancora finirà la prova che ora fa Dio di lei”.

Nella lettera del 29 maggio 1772 Paolo si congratula con Maria Crocifissa per la professione religiosa da passionista e per la sua elezione a superiora del monastero.

Nel poscritto aggiunge:

“Gesù la faccia tanto santa quanto desidero, e lo preghi per me e stia sempre nel suo niente, lasciando sparire il niente nell’in­finito Tutto ch’è Dio Ottimo Massimo”.

Volgere lo sguardo a colui che sta crocifisso

Come si nota, lo scopo di farsi religiosi è quello di pregare, leggere, meditare, lavorare, entrare sempre più nella pratica del vangelo per ottenere dal Signore Gesù la grazia di diventare santi.

La spiritualità della croce che Paolo maggiormente evidenzia come tipica per la donna consacrata nella vita religiosa passionista è quella della morte mistica. Non è una spiritualità tetra o complessa, al contrario molto rasserenante e semplice, perché non è in fondo nient’altro che la spiritualità del Padre Nostro, la cui invocazione centrale da vivere è quella di fare sempre volentieri la volontà di Dio Padre.

Di questo clima spirituale, dolce e forte insieme, ha goduto Eufemia quando con la Zia Cecilia si recò a fare gli Esercizi a Tarquinia nel 1900. La cosa che colpisce è che essa trovò questa spiritualità adatta a lei, pure essendo tanto giovane, di 16 anni soltanto!

Ciò si deve certo anche alla mediazione della direttrice delle Esercitanti, la carissima Madre Giuseppa Armellini.

San Paolo della Croce ha avuto una stima immensa sia per l’opera della Congregazione Passionista che per il monastero delle Passioniste. Lui è il fondatore e in quanto tale lo si può capire quando pronuncia parole tanto solenni e celebrative della sua Congregazione e del monastero passionista. Eppure questa spiegazione non soddisfa pienamente, perché le lodi che fa della vocazione e missione passionista sono troppo grandi, da dare l’impressione di essere eccessive. Secondo lui invece non solo non sono eccessive, ma sono inadeguate e ancora troppo deboli per esprimere il divino presente in questa realtà!

Una stima analoga a quella di san Paolo della Croce per la vocazione e missione di stare presso la croce di Gesù con sua madre Maria Ss.ma la troviamo in santa Gemma come pure in Gemma Eufemia Giannini e in Madre Maddalena Marcucci.

Memoria della grazia

Tanti forse pensano che il parlare della passione del Signore in continuazione sia qualcosa di negativo e renda tristi. No. Il parlare della passione è invece qualcosa di altamente positivo e rende particolarmente lieti. La memoria della passione non è infatti per niente o solo memoria di sofferenza ma introduce nella storia il principio della grazia! La memoria della passione è memoria della grazia. Quanto è prezioso questo punto. Il pensiero della croce è un pensiero che fa suo il principio della grazia. Se non si annuncia la passione del Messia Gesù non si introduce nel mondo il fatto santo e santificante della grazia, con la quale unicamente si ha la speranza che non delude.

Se per tanti il solo parlare della passione disturba, immaginiamoci a che livelli arriverà la loro reazione di disgusto e di rifiuto quando si parlerà, come fa san Paolo della Croce, della passione nei termini del nudo patire! Eppure la vita, prima o poi, obbliga tutti a fare esperienza della sofferenza dura e amara della solitudine, della depressione, dell’abbandono. Se non si é aiutati dalla grazia in quel momento si rischia di brutto, addirittura di odiare la vita, che è il dono massimo. Nei periodi del nudo patire, senza conforto né da Dio, né da se stessi e tanto meno dagli altri, per fortuna sappiamo ed esperimentiamo di fatto che la fede ci sostiene, la grazia di Dio non ci abbandona, la Vergine Ss.ma ci sta accanto e conforta, la preghiera di tanti ci protegge e incoraggia, e questo basta per preservarci da gesti sbagliati dettati dalla disperazione.

I fondatori e le fondatrici non per brevi periodi, ma per tempi lunghi sono rimasti nel nudo patire più spaventoso. Che cosa dovevano fare? Niente. Essi dovevano cercare soltanto di non reagire e di stare quieti, per non impazzire o squilibrarsi per l’eccessività dei dispiaceri e delle amarezze che pativano. Essi, in altre parole, dovevano limitarsi a patire, tacere e amare, come spesso scriveva Paolo della Croce, sapendo che erano esattamente nell’ora della prova e la prova era necessaria per diventare preziosi e graditi a Dio.

Per chi vuole fare opere grandi per il Signore, per la propria comunità cristiana, ma anche semplicemente per la propria famiglia e per qualsiasi categoria di persone, come i giovani, deve sapere che deve pagare un prezzo molto alto, non d’oro o d’argento (cf. 1 Pt 1, 18-19), ma attraversando pene d’inferno, appunto il nudo patire. Le opere grandi per la gloria di Dio, per la salvezza degli uomini, ma anche per significative realizzazioni sociali, non possono maturare che dal nudo patire.

La spiritualità della passione vissuta nei termini di nudo patire non è indebita, né negativa, né eccessiva, perché è una spiritualità di persone che hanno maturato di amare davvero e alla grande ed è pertanto una spiriutalità vera proprio perché costruisce le personalità di valore in questo mondo.

La dimostrazione di quanto sia positivo il pensiero della passione coltivato con tanta intensità e forza nei termini di una amarezza estrema per soccorrere gli altri e per comunicare loro felicità e portarli a una santità di vita, l’abbiamo da santa Gemma Galgani e da Maria Maddalena Marcucci e naturalmente da Madre Gemma Eufemia Giannini, che fondò la Congregazione Missionaria Sorelle di santa Gemma e fu compagna di Madre Maddalena e insieme sua maestra di formazizione nel monastero di Lucca.

Esse invitano anche noi a seguirne l’esempio, in modo che anche nella nostra storia sia introdotto il principio della benevolenza divina, della tenerezza paterna di Dio, che asciuga le nostre lacrime.

Essere passionista con la totalità e radicalità come ci è testimoniato che ha fatto Madre Maddalena non significa altro in fondo che lasciarsi guidare anche noi dall’ispirazione e dalla chiamata di mettere al centro del proprio pensiero e impegno la memoria della passione intesa quale memoria della grazia.

In altre parole, scegliere di porre al centro del proprio pensiero la passione messianica significa e comporta impegnarsi, con la totalità e serietà che la scelta maturata esige, di dedicarsi davvero a fare memoria della passione ossia della tipologia di vita del Messia Gesù, tipologia di vita che pure tutti noi, sia fedele laico o consacrato, indipendentemente dalla modalità passionista e indipendentemente dallo stato di vita intrapreso, dobbiamo in ogni caso assumere se vogliamo dimostrare alle persone che le amiamo davvero, in quanto realmente condividiamo la loro situazione di fallimento a causa del peccato in cui sono cadute e così facendo nostra la loro condizione, sull’esempio del Messia Gesù e in unione profonda con lui, le liberiamo dal peccato che le rende fallite.

Colui che si impegna a fare memoria della passione ha una missione grandissima che da sola basta a tenerlo occupato tutta la vita. L’attuazione di tale missione lo conduce a fare anche delle scelte, che danno una specificità alla sua vita, in quanto le danno la configurazione di silenzio, semplicità, povertà, contemplazione, preghiera, misericordia.

A questo punto a nessuno verrà da dire che il carisma della passione sia difficile e ancor meno che sia di poco conto, ma al contrario riconoscerà che è di una attualità e importanza unica, per cui c’è da pregare perché persone più numerose possibili lo capiscano e vi aderiscano, cercando forme adeguate per fare in modo che la contemplazione di Colui che sta confitto in croce per noi diventi forza di grazia per la gente del nostro tempo.

(Per queste notizie, cf. Camminerò in semplicità di cuore. Vita e storia della passionista lucchese Gemma Eufemia Giannini, di Padre Max Anselmi, Casa Giannini – Lucca 2007,