Libro Quarto – Dio nell’anima

DIO NELL’ANIMA[1]*

Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (cf. Gv 14, 23)

E’ così grande il desiderio del divino Amante di darsi tutto alle anime ed abitare in esse, che per soddisfarlo effuse tutto il suo Sangue e morì fra inauditi tormenti. C’è chi pensa che Gesù sia morto soltanto per salvarci. No. Il Salvatore ha dato la sua vita senza dubbio anzitutto per liberarci dal peccato, ma non solo per questo. La sua Redenzione è stata copiosa ed abbondante anche per abbellire con i suoi meriti le anime nostre e fissar stabilmente in esse la sua dimora di amore. Perché le sue delizie sono “abitare con i figli degli uomini” (cf. Pr 8, 31vulgata).

L’anima che ama, ben persuasa di questa consolante verità, si è affaticata per preparare la dimora allo Sposo, adornandola delle più belle virtù. E si affretta a chiamarlo, come la Sposa dei Cantici, dicendo: ”Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti” (cf. Ct 4, 16).

Chi non sa come gode il contadino vedendo gli alberi pieni di splendidi frutti, e facendo il raccolto, che ha sperato per lungo tempo e gli è costato tanti sudori e timori? Ma più ne gode se sa che quei frutti sono graditi ad una persona cara, come la sposa, un figlio, e sarebbe ancor più grande la sua gioia se la persona amata fosse inferma e non desiderasse altro per suo alimento e sollievo che quei frutti. Con quanto piacere stenderebbe la mano per cogliere quei frutti del suo sudore! Gli farebbe dimenticare all’istante le fatiche e i sudori che gli costarono. Il cuore che ha amato o ama, sa bene che è così. Dove c’è amore, non c’è dolore ma gioia, costi pure quello che costi il poter dare soddisfazione e piacere a chi si ama.

Ma molto maggiore è la gioia dell’anima che ama Dio quando, dopo aver lavorato ad estirpare dal suo interno le cattive erbe dei difetti, e ad acquistare le virtù, vede finalmente maturati i frutti di santità. Frutti di santità che sono gli atti delle stesse virtù e ogni sorta di opere buone che l’anima pratica senza nessuno sforzo, anzi con la massima facilità e prontezza.

L’anima sa bene che questi sono i soli frutti di cui si nutre il suo Sposo, infermo per le ferite che gli hanno inferto i peccati… Quelle piaghe non gli permettono di prendere altro alimento, né di essere curato con altra medicina che quella dell’amore. I peccatori lo odiano; è necessario che altri cuori lo amino. Quelli vanno in cerca di piaceri e seguono le passioni; Egli ha bisogno di mortificazioni e di sacrifici. Quelli lavorano alla perdizione delle anime, ferendolo con il loro orgoglio e superbia; Egli ha bisogno dello zelo di quelli che lo amano, della loro umiltà, della loro sottomissione e pazienza, per sanare quelle ferite.

Questi sono i frutti che l’anima vede in abbondanza nel suo giardino, e corre ad offrirli all’Amato, il quale si consola, soddisfa la sua fame di amore e resta sollevato dalle sue sofferenze. O frutti di amore! Quanti beni procurate all’anima che vi possiede e che consolazione procurate a Chi vi piantò nel vostro mistico giardino con tutte le fatiche della sua vita mortale, fino ad irrigarli con il suo Sangue divino e a finire steso sul duro legno della Croce! Chi avrà coraggio di offrire altro alimento fuori di questo a Gesù moribondo, inchiodato sulla Croce per i peccatori? Lo sappiamo tutti molto bene, ma poche sono le anime che portano questi frutti di amore per sollevare l’Amore che languisce vedendo che non è amato.

Quante anime ci sono che dicono: io vorrei farmi santa, vorrei amare solo il Signore, vivere solo per Lui!… Allora, se questo vogliono veramente, perché non mettono mano all’opera? A rinunziare a se stessi, vincere le ripugnanze, darsi all’esercizio della carità, dell’umiltà, tenere sempre aperti gli occhi per vedere come si potrà fare un po’ di bene.

Se la persona ha la fortuna di essere religiosa, farà di tutto per mettersi incondizionatamente a disposizione dei suoi Superiori quanto all’esteriore, e ad essere fedele alla voce dello Spirito Santo che interiormente la istruisce e la dirige. Così che possa dire a Dio: “Signore, ti do quello che mi chiedi; la coscienza non mi rimprovera di negarti nulla, si sente tranquilla e serena al calore del tuo amore…”. Chi può dire questo, ha senza dubbio, nella terra del suo mistico giardino, fiori profumati e abbondanti frutti da offrire allo Sposo divino.

amore e umiltà. Ma non è contrario all’umiltà che l’anima veda in sé frutti di virtù, li riconosca e come tali osi offrirli a Gesù? Lui va incontro solo agli umili e ai poveri, e guarda da lontano, con disprezzo, i superbi. Non solo questo riconoscimento non si oppone all’umiltà, ma al contrario, questa stessa virtù è quella che gli ha fatto vedere e produrre i frutti di cui parliamo, e quella che anche la porta ad offrirli al suo celeste Sposo.

L’anima che ama il Signore sa meglio di tutti che l’origine di ogni bene è Dio e che è Lui la sorgente della vita e della grazia. “E’ in te la sorgente della vita” (cf. Sal 35, 10). E’ nella luce divina che l’anima è stata illuminata per vedere il suo proprio nulla e la sua miseria, e che tutto è opera della grazia. “Alla tua luce vediamo la luce” (cf. Sal 35, 10). Questa è la luce, l’unica luce che scopre all’anima le cose nella verità. Non c’è pericolo che si possa ingannare, come facilmente potrebbe succedere a chi vedesse le cose non alla luce divina, alla luce dell’amore, ma alle false luci della propria mente ribelle e ottenebrata dalle passioni non mortificate.

La luce divina mostra chiaramente all’anima giunta a questo stato che gli alberi che hanno prodotto i frutti sono piantati dalla mano del Signore. Per questo ha detto: “Venga il mio Amato nel suo giardino e mangi i frutti squisiti”. Fu Lui che diede loro incremento e li coltivò. Era la grazia che preveniva l’anima, l’accompagnava e le faceva portare a termine le opere di virtù, frutti di vita e di santità.

Non c’è cosa capace di umiliare tanto un’anima, di farle vedere le profondità del proprio nulla, quanto la grazia. Solo quando la luce divina si proietta nell’anima, si vedono chiaramente i due abissi: Dio tutto e la creatura nulla. La grazia, infinitamente più di tutte le parole e le umiliazioni delle creature, annienta l’anima e le scopre il suo nulla.

bellezza dell’anima. Sembra incredibile che alcune anime temano, mentre Dio stesso non teme. Egli loda quelle anime cariche di frutti di virtù chiamandole belle, amiche, colombe, perfette, “leggiadre come Gerusalemme” (cf. Ct 6, 4). Quando Dio abita in un’anima e l’ha sposata, non c’è motivo di temere. Niente e nessuno è capace di toglierle la serenità, la pace e la gioia che gode. Dio si trova lì come nel suo regno e, dice S. Paolo, “il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (cf. Rm 14, 17). La fonte del nostro gaudio è nel possesso di Dio e questo gaudio nessuno può toglierlo all’anima che lo possiede. Il Re divino ha stabilito il suo trono in quest’anima felice. E’ Lui che accende e ravviva sempre più in essa la fede, la speranza e la carità. Ne fa un suo santuario, dove manifesta a tutti il suo amore, il suo potere e la sua gloria.

Che dignità e maestà nell’esteriore delle persone che sono giunte a questo grado! Sembra che solo un tenue velo nasconda la grandezza e la bellezza della loro anima. Dice la Sacra Scrittura che “è grande la casa di Dio, vasto il luogo del suo dominio! E` grande e non ha fine,

è alto e non ha misura!” (cf. Bar 3, 24-25; cf. pure Sal 144, 3.11-13).

Tutti, a meno che non siano ciechi volontari, riconoscono la grandezza di queste anime, dimora di Dio, e si sentono mossi ad inchinarsi davanti ad esse come davanti ad un tabernacolo o a un tempio materiale dove risiede il Signore. Questi sono quelli di cui parla S. Paolo agli Ebrei, dicendo che ci fanno vedere Cristo nella sua casa. “E la sua casa siamo noi” (cf. Eb 3, 6). L’anima in cui dimora il Verbo divino non solo è bella, perfetta, eletta, ma anche “terribile come un esercito schierato a battaglia” (cf. Ct vulgata 6, 3).[2] Nulla teme e nessuno può farle del male. Ad essa si può applicare quello che dice la Sapienza: “Non temerà l’anima sua il freddo delle nevi” (cf. Pr vulgata 31, 21),[3] cioè le avversità che vengono dal di fuori. Potranno alzarsi le onde delle persecuzioni e contrarietà, potrà sentire i rumori del mondo, empio e cieco, in cui vive, potranno affrontarlo i nemici, ma mai potranno entrare in quella casa tanto bene munita e difesa. Tutto avverrà fuori di essa. Sigillata com’è con un sigillo divino e protetta dal Forte d’Israele, “nulla deve temere” (cf. Pr 31, 21).

“magnificat”. E ora, che altro puoi desiderare su questa terra, o anima fortunata? Ormai, puoi dire con tutta verità, come la Sposa dei Cantici: “Il mio diletto è per me e io per lui” (cf. Ct 2, 16).

Hai in te stessa il cielo, perché dimora in te Colui che lo creò. Tu sei la sua padrona e Lui lo schiavo del tuo amore; Egli ti fa sentire il suo amore come se non avesse da amare altri che te, come se tu sola fossi l’oggetto di tutte le tenerezze del suo amore infinito.

“In questo stato di vita così perfetto – dice S. Giovanni della Croce – l’anima è sempre in festa, interiormente ed esteriormente, e molto spesso il palato del suo spirito assapora una grande gioia, come un cantico sempre nuovo, avvolto nelle gioia e nell’amore, e nella coscienza di trovarsi in uno stato di felicità”. Prima di giungere a questo stato di luce, di sicurezza, di gaudio, quanti timori, quale vuoto, quali tenebre non ha dovuto superare l’anima!… Ma adesso, a misura di quanto ha sofferto, riceve regali e consolazioni, perché “nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come la luce” (cf. Sal 138, 12).

Stattene in pace, o anima felice, tralcio fortunato della divina vite, a cui sei intimamente unita. La sua linfa è la tua vita, e nella tua vita nascosta in Dio, tu assapori già le cose del cielo e non più quelle della terra. In te appare Cristo, tua vita, e appari anche tu insieme a Lui, e con Lui in qualche modo glorificata. “Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria” (cf. Col 3, 4).

Ciò che ti resta da fare, mentre vivi su questa terra, è cantare “al Signore un canto nuovo”, perché ha compiuto in te grandi prodigi (cf. Sal 95, 1). E ancora ti resta di elevare al cielo il meraviglioso cantico di quella purissima creatura, Maria, che fu la prima casa del Signore, la più degna abitazione che abbia avuto il Verbo Incarnato. Con Lei, in un’estasi di amore e di riconoscenza, ripeti, senza alcun timore: “L’anima mia magnifica il Signore… Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (cf. Lc 1, 46.49).

Quanto ami, Signore, le tue povere creature! Sei l’Onnipotente, e tutto puoi. Ma il tuo potere infinito, se ti fa nascondere spesso la tua giustizia, non ti lascia nascondere il grande amore che nutri per noi. Sì, l’amore ti sfugge dal cuore ad ogni momento e da tutte le parti.

Nel tuo Vangelo, nella tua Eucaristia, nei Sacramenti e nelle anime… oh!, come risplende il tuo amore! Come un vero Sposo ti dai tutto alle anime, le rendi simili a Te, facendole padrone di tutte le tue ricchezze, e perfino del tuo proprio nome. E in cambio, che cosa chiedi per tanta degnazione? Amore, solo amore.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (cf. Gv 14, 23).


[1]* Cf. La Vida Sobrenatural, dicembre 1930, pp. 376-382.

[2] Ct 6, 4, traduzione CEI: “Terribile come schiere a vessilli spiegati”.

[3] Pr 31, 21, traduzione CEI: “Non teme la neve per la sua famiglia”.