8. Prove dell’anima

8. Prove dell’anima

All’epoca della mia vita in cui ci troviamo la mia anima, come abbiamo visto, riceveva grandi grazie dal Signore, grazie di molti tipi e forme, tutte molto preziose come è sempre quanto proviene da Dio. Tra tutte quelle che apprezzavo di più per la misericordia del Signore era quella di sentirmi come spinta e sollecitata alla pratica di tutte le virtù. Sentivo come un trasporto e una fame di sacrifici, di umiliazioni, di esercitare la carità. Soprattutto, la virtù che con maggior perfezione il Signore mi chiedeva e mi spingeva a praticare era quella dell’obbedienza. Mi rimproverava su questa virtù anche la più piccola mancanza, mi dava particolari illuminazioni sul suo immenso valore e mi aiutava a praticarla in modo perfetto come mi chiedeva. Talvolta mi succedeva di udire nel mio intimo come una voce che mi diceva: «La Madre ha bisogno di te». E io correvo subito dov’era lei, la quale al vedermi si rallegrava e mi diceva: «Oh, Madre Maddalena, proprio in questo momento stavo desiderando che lei venisse».

Obbedienza cieca

Quando la Madre mi ordinava o diceva qualcosa, anche se parlava in generale, io raccoglievo le sue parole per eseguire quell’ordine o quell’avvertimento come se fosse stato dato solo per me. Se io non l’avessi così adempiuto, il Signore mi rimproverava così forte che mi vedevo costretta a farlo. Per esempio, se la Madre diceva: «Sarebbe bene andare a raccogliere legna nell’orto, tagliare o togliere l’erba, fare la tale o tal’altra cosa…», una volta conosciuto questo desiderio, non dovevo più domandare nulla, né discuterci sopra, ma realizzarlo quanto prima e, se era possibile, senza che nessuno si fosse accorto di chi aveva fatto quel servizio.

Quando eravamo tutte in ricreazione capitava che la Madre con una certa frequenza dicesse: «Oggi è una giornata così bella che farebbe loro bene se uscissero in giardino». Non aveva dato un ordine, ma aveva soltanto manifestato un desiderio. Siccome non era inteso come un ordine, la maggior parte delle religiose continuavano nei loro lavori perché non si sentivano di interromperli. Io, invece, non potevo restare là. Appena udito dalla bocca della Madre quel desiderio o consiglio, mi sembrava come di sentire nel mio intimo un comando o un ordine definitivo del Signore di eseguire e di adempiere questa sua volontà manifestata dalla Superiora. Mi alzavo subito, a volte da sola e andavo in giardino, o in qualche altra parte che l’obbedienza indicasse e lì incontravo il Signore con le sue grazie preziose ed abbondanti che mi incoraggiavano e mi fortificavano sempre più per continuare nel cammino della virtù, del sacrificio e della morte a me stessa.

Un caso più particolare dirà meglio fino a che punto il Signore mi chiedeva la perfezione circa l’obbedienza. Un giorno in ricreazione la conversazione cadde su coloro che impiegavano molto tempo per confessarsi. Io allora, contrariamente alla mia abitudine, per un certo tempo mi intrattenevo un po’ più a lungo nella confessione, perché mi sembrava che lo stesso confessore mi trattenesse, facendomi domande per il bene della sua anima. Questo fatto richiamò un poco l’attenzione della comunità. Io mi rendevo perfettamente conto di tutto, ma tacevo e lasciavo dire. Prima parlarono in generale, poi vennero a casi particolari e alla fine giunsero a dire che avrebbero voluto stare in un angolo del confessionale quando io mi confessavo per imparare a fare conferenze spirituali. Un’altra diceva che desiderava sapere come comportarsi per non far perder tempo al confessore ecc. e si rivolsero a me domandandomi direttamente che glielo insegnassi. Terminarono chiedendo alla Madre che me lo comandasse. «Glielo comandi, Madre, —dissero—, che ce lo scriva». Un’altra aggiunse: «È meglio che le ordini di scrivere la sua vita»; e insistevano. Io tacevo, come sono solita in tali casi. Alla fine, la Madre si rivolse a me e disse: «Madre Maddalena, che dice lei?». Mi burlai e dissi: «A loro non basta quello che sanno e i libri che hanno da leggere?».Le religiose insistevano e la Madre finì per dirmi: «Anch’io credo che sarebbe proficuo conoscere la sua vita, perché la Madre Maddalena è sempre contenta e non si perde in sciocchezze». E subito aggiunse: «Sì, Madre, la scriva, la scriva». Io cercai di prendere la cosa come uno scherzo e di convincermi che non valeva la pena di farne caso. In quel momento suonò la campanella per indicare la fine della ricreazione e nessuno parlò più.

Andai in coro e lì mi ritornò davanti alla mente quello che era successo durante la ricreazione. Io lo scacciai dicendo che le cose della ricreazione non si devono prendere sul serio. Ma sentii interiormente un forte rimprovero che mi diceva: «Le parole della Madre non si devono prendere come uno scherzo, voglio che faccia sempre quello che dice, ciecamente». Come rimasi! Volevo resistere a Dio e non potevo, perché l’amore dà tutto e non resiste… Quale lotta si ingaggiò tra la natura e la grazia! Stetti due ore in orazione (quel giorno non c’era la ricreazione della sera, perché era l’ultima domenica del mese, quando facciamo il ritiro in preparazione alla morte). Dopo due ore di lotta con il Signore, vincendo una grande ripugnanza, mi alzai, andai dalla Madre e in ginocchio le dissi: «Madre, se vuole che faccia lo scritto che mi ha detto, la prego di aver la bontà di darmi la carta». Ella rispose: «Sì, gliela darò». Poi aggiunse: «Quando vuole averla gliela darò». Con ciò me ne rimasi tranquilla, perché l’obbedienza, da parte mia, era adempiuta.

Di casi simili se ne verificarono diversi, ma in tutti credo che, per la misericordia divina, trionfò la grazia. Mi tenevo così stretta al Signore che il suo amore distruggeva gli ostacoli, le ripugnanze della natura, e mi lasciava come chi rimane vinto e senza forza, perché la vittoria era sempre per l’amore.

Dolce sentimento della presenza Divina

A volte sentivo la presenza divina così forte e viva che mi sembrava di vedere e udire il Signore. Un giorno mentre stavo in compagnia delle mie consorelle, occupata in giardino a fare un lavoro ordinato dall’obbedienza, mi sentii come circondata e avvolta dal dolce fuoco dell’amore di Gesù. Ricordo che gli dicevo: «O Gesù, sentiranno anche le mie sorelle l’ardore di questo dolce fuoco? Se non lo sentono, spartisci quello che fai sentire al mio povero cuore e tutte arderemo delle tue preziose fiamme». Mi mettevo a sedere per riposare un poco, ripetendo ardenti atti di amore che aumentavano il dolce ardore che mi costringeva al riposo più che al lavoro materiale che del resto non mi costava nulla. In certi momenti mi sentivo un raccoglimento molto profondo, tanto nell’orazione come durante il lavoro (a volte anche nello stesso refettorio). Ricevevo illuminazioni particolari su punti della Sacra Scrittura e sulla bontà divina che lasciavano la mia anima come sospesa e attonita nella considerazione degli attributi divini, specialmente quello del suo infinito amore.

In questo stato, a volte sentivo desiderio di parlare di Dio, di parlare con qualcuno che sentisse la stessa cosa. Però se provavo a farlo, mi si chiudevano immediatamente la bocca e il cuore e allora tacevo e soffrivo…

In questo tempo scrissi al vescovo Mons. Volpi, con il quale tenevo qualche relazione epistolare, anche se non molto intima. Siccome lui mi conosceva fin da bambina, mi sembrava che egli meglio di altri potesse darmi qualche consiglio.

A riguardo di questo punto particolare mi rispose:

«Sono persuaso che Lei ha bisogno di parlare di Dio e di trovarsi con qualcuno che l’aiuti e diriga la sua anima, dato che nessuno può guidarsi da se stesso e il demonio spesso inganna le anime nelle stesse cose che sembrano grazie di Dio. Pertanto mi rendo perfettamente conto della pena di un’anima che non trova la direzione di cui ha bisogno e ancora di più se si trova in luoghi dove la distanza o altre circostanze rendono più difficile il poterla trovare».

Necessità di un ministro di Dio che guidi la sua anima

Nell’ascoltare questo forse qualcuno pensa: «Ma non hai detto che ti trovavi felice e soddisfatta appena andavi ai piedi di Maria a raccontarle le tue pene e i tuoi desideri? Non ti basta allora la direzione della Signora celeste?». Sì, basta e basterà sempre Maria santissima. Ella è stata e sarà sempre, dopo Gesù, la principale Guida sicura di ogni anima errante sull’aspro sentiero della vita. E finché Dio non dà all’anima un altro mezzo, vada sicura con questo, poiché chi cammina con Maria arriverà: «Ipsa duce non fatigari, ipsa propitia perveni».9

Se ho detto che Maria è la Guida principale dell’anima è perché non è l’unica. Nostro Signore ha posto nella Chiesa i suoi ministri come continuatori perché per le anime siano quello che Lui era: «luce del mondo che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (cf. Gv 8, 12; 1, 9). Da loro le anime vogliono ricevere la sicurezza di cui hanno bisogno e la luce che illumina i loro passi insicuri. Nella mia anima, come si sarà notato, il più l’ha fatto Lui, perché ho incontrato pochi confessori e direttori che mi abbiano capito e questi pochi lo sono stati sempre per breve tempo, giacché subito il Signore me li toglieva. Ciò nonostante, posso dire che gli insegnamenti appresi da loro durante quel breve tempo mi bastarono per continuare sicura e tranquilla il mio cammino.

Lo Spirito Santo dice però che ogni cosa ha il suo tempo, cioè che Dio fa passare le anime attraverso fasi e circostanze diverse. È il suo stesso spirito che produce questi effetti, illumina e pone nelle tenebre l’anima, l’assicura e la consola, la induce al dubbio e al timore perché, in quest’ultimo, senta la necessità dell’aiuto dei ministri e ricorra a loro. A tutte le anime, anche se la loro vita è stata molto semplice e a stento conoscono la mano del confessore, il Signore ha fatto comunque loro sentire la necessità di ricorrere a loro e per mezzo di essi ha dato loro speciali aiuti. Di questo numero facevo parte io e mi trovavo in questa situazione.

Dio mi chiedeva una perfezione non ordinaria, dandomi a questo scopo grazie specialissime che io conoscevo perfettamente, perché vedevo molto chiaramente che non chiedeva alle altre religiose la virtù nel grado che la chiedeva a me. Questo non mi dava certamente motivo di pensare che io ero migliore di loro, anzi, al contrario, sapendo le grazie che ricevevo, vedevo bene che in confronto ad esse non era nulla quello che io davo al Signore.

A mantenermi in questi sentimenti mi aiutava anche il vescovo Volpi. In una lettera di questo tempo mi diceva:

«Mi rallegro nel Signore che la sua anima si trovi immersa nella corrente delle grazie divine. Cerchi però di avere sempre presente che quanto più riceve, tanto più è obbligata a dare. È anche vero che, siccome Lei si è affidata alla santissima Vergine, Lei l’aiuterà a pagare i suoi debiti. Del resto, l’amore si paga con l’amore, con l’amore gli si restituisce il beneficio. Tenga però presente che l’amore vuole la somiglianza e per essere somiglianti a Gesù, come lei sa, è necessario essere crocifissa. Questa crocifissione deve compiersi non per forza, ma per amore».

Ad un’altra mia lettera nella quale gli dicevo che, in cambio di quanto la grazia aveva operato nella mia anima, mi sembrava di aver udito l’«aperi mihi»10 di Gesù e che io gli avevo aperto la porta del mio cuore, il vescovo mi rispondeva:

«Quello che mi dice essere accaduto nel suo spirito dopo che Gesù le ha detto: «aperi mihi», è tutto dono suo, come lo fu pure l’invito che le fece: non avrebbe potuto aprirgli la porta se prima Lui stesso non glielo avesse concesso. Si deve chiedere l’amore, che è la chiave di tutto, ma anche questo è dono suo. Sant’Ignazio diceva continuamente: «Amorem tuum cum gratia tua mihi dones et dives sum satis».11 Ringrazi, perciò, il Signore, per tutte le grazie che le ha concesso e si lasci immolare da Lui per implorarle per tante povere anime».

Il desiderio di giungere a questo stato era così vivo che mi sembrava sempre poco quello che facevo per Dio, mi confondevo e mi umiliavo davanti a lui, desiderando di fare sempre di più e meglio. Questo era anche il motivo perché chiedevo a Dio che, se gli piaceva, mi desse un direttore che mi aiutasse nel lavoro intrapreso così difficile e nel quale avevo posto la mia mira, perché la mediocrità non mi piaceva: desideravo la vetta della perfezione, il supremo grado dell’amore.

Il mio costante impegno per la virtù e la perfezione richiamava su di me l’attenzione della Madre e delle altre sorelle della comunità. Io mi rendevo conto di tutto e lodavo il Signore che mi concedeva per questo la sua grazia.

La stessa Madre a volte diceva: «Guardate come fa la Madre Maddalena, fate come lei. Vedete come obbedisce prontamente? Imitatela. Ella è sempre contenta e tranquilla, senza mai aver scrupoli…». Anche il confessore si era reso conto e me lo faceva capire. Questo non mi pregiudicò in nessun modo, anzi mi incoraggiava nell’adempimento dei miei voti, specialmente in quello che riguardava il fare sempre la cosa più perfetta.

La luce che Dio mi dava mi faceva vedere le cose nella loro verità e nella verità non c’è inganno. La mia unica sofferenza era sentire la necessità di rendere conto delle cose della mia anima e lo sentivo ancor di più quando il Signore mi dava qualche grazia speciale. Quanta voglia sentivo allora di dire a qualcuno quanto era buono il Signore con me! Tentai qualche volta di farlo, ma quanto mi costava! Né io avevo parole, né loro mi capivano e disprezzavano quello che io dicevo loro. Questo mi feriva nell’anima, non potevo soffrire che cose così manifestamente buone venissero disprezzate. Nello stesso tempo non me ne restavo tranquilla chiudendo tutto in me e tacendo, come mi aveva consigliato anche il vescovo Volpi. Me lo tornò a ripetere una volta che gli dissi che ciò che mi frenava un poco di chiedere il permesso di parlare con qualcuno delle cose della mia anima era la paura di richiamare l’attenzione della comunità e di dare fastidio a qualcuno. Mi diceva:

«A riguardo delle cose della sua anima, le dico che ha molta ragione di affermare che ha bisogno di consiglio. Nessuno può essere giudice di se stesso e inoltre è facile essere ingannati o dall’immaginazione o dal demonio. Solo il ministro di Dio può giudicare con sicurezza e, a suo giudizio, lasciare l’anima tranquilla, perché Gesù ha detto: Chi ascolta voi, ascolta me (cf. Lc 10, 16). La ragione che Lei adduce di non voler richiamare l’attenzione, né di quelli della casa, né di quelli di fuori, non mi sembra che sia sufficiente per impedirle di chiedere alla Madre di parlare con qualche sacerdote competente per conoscere le vie di Dio. Nemmeno mi sembra un motivo giusto per rinchiudersi in se stessa, il timore di essere notata come diversa. Santa Teresa manifestò a molti le cose della sua anima per paura di essersi sempre sbagliata. Del resto, attualmente la disciplina della Chiesa lascia molta libertà a questo proposito, anche ai religiosi e alle religiose. Giovarsi di quello che la Chiesa concede (più ancora, desidera) sarà sempre una cosa lodevole.

Per lettera non è facile dirigere bene le anime, specialmente senza ascoltarle qualche volta nel Sacramento della Confessione. Tuttavia, per quello che di tanto in tanto mi ha fatto conoscere del suo spirito, credo che Lei possa stare tranquilla, poiché le disposizioni nelle quali si trova sono buone e, qualunque sia la causa, se gli effetti sono buoni, possiamo stare in pace. Ha fatto bene a chiedere il permesso per fare il voto del più perfetto. Per gli effetti che in Lei ha prodotto, risulta chiaro che era veramente Dio che glielo chiedeva. Per concludere, devo dirle che di quello che mi ha riferito nella sua lettera non ho trovato nulla di riprovevole, pertanto può benissimo continuare ad andare avanti in santa pace, corrispondendo alle grazie che il Signore le sta facendo e cercando con il suo aiuto divino di raggiungere la perfezione che Lui le chiede».

Se l’ultima parte di questa lettera mi consolava, la prima era sufficiente per inquietarmi, perché da parte mia non utilizzavo i mezzi per trovare qualche ministro del Signore con il quale conferire. Il Signore stesso sembrava che interiormente mi andasse ripetendo: «Voglio che siano conosciute le opere del mio amore in te».

Tra questi dubbi e paure soffrivo e chiedevo a Dio che mi aprisse Lui qualche strada, perché io non sapevo proprio cosa fare. Questi timori turbavano un po’ la quiete del mio amore. Non riguardavano propriamente quello che succedeva nella mia anima, ma piuttosto il fatto che ero io che non volevo dire certe cose, perché quando ci provavo non riuscivo. Mi veniva in mente che dovevo sforzarmi e vincermi e che Dio avrebbe dato senza dubbio grazie ai suoi ministri: se negava loro questa grazia a mio riguardo era in castigo della mia superbia ecc.

Immersa nei miei timori, tornai a scrivere al vescovo e lui mi rispondeva insistendo sempre che dovevo consultarmi con qualcuno.

«Per gli effetti che produce nella sua anima lo stato nel quale si trova attualmente non può dirsi che sia illusione, e tanto meno cosa del demonio. In ogni modo, senza voler ricercare la causa, accetti gli effetti, che la condurranno sempre a raggiungere meglio quella perfezione propria di chi vuole essere tutta del Signore e alla quale deve tendere sempre ed incessantemente una religiosa. Certo che un tale stato di pace e tranquillità non viene solitamente concesso se non ad intervalli e dopo molti e grandi patimenti. Credo che in Messico avrà patito molto, tuttavia io sono del parere che Lei non tarderà a trovarsi di dover soffrire in maniera più particolare e probabilmente prove molto forti. Sia molto aperta con il confessore, gli obbedisca e preghi molto Gesù affinché non permetta che Lei resti nell’illusione. La devozione filiale che ha alla santissima Vergine è un grande mezzo per scoprire gli inganni del demonio, se per caso li avesse».

E in un’altra aggiungeva:

«Oltre a manifestare il suo spirito ai Padri Passionisti, sono del parere che convenga che ne parli anche con qualche Padre dotto e pio della Compagnia di Gesù. Oggi la Chiesa lascia anche alle religiose molta libertà in ordine alla direzione spirituale. Non si lasci prendere perciò dai rispetti umani, perché nelle cose dello spirito non se ne deve avere. I buoni confessori conoscono le leggi della Chiesa e non possono disapprovare quello che essa approva. La prudenza umana non è sempre in consonanza con la prudenza spirituale».

Ricerca infruttuosa

Desiderando soddisfare i consigli di questo saggio e santo prelato e non sapendo che fare, un giorno esposi tutto alla Madre, manifestandole i miei timori che Dio mi avrebbe castigato e tolto la sua grazia se non avessi parlato delle cose della mia anima con qualcuno. Lei mi suggerì di rivolgermi a un Padre dei nostri qui in Deusto, che godeva fama di essere molto spirituale. Venne chiamato e più per obbedire alla Madre e farle piacere che per gusto mio, andai da lui. Per la ripugnanza e la difficoltà che ebbi nel parlargli conobbi che non era il designato da Dio, ciononostante ero decisa di farmi violenza e dirgli le mie cose. Ma, che cosa successe? Mi aveva ascoltato per poco quando mi disse: «Non mi restano che pochi minuti disponibili, devo sentirne un’altra»; e con questo mi congedò. Io rimasi così indifferente e tranquilla nel partirmi senza avergli detto nulla, perché i minuti che rimasi con lui se ne erano andati nel salutare e nel dire alcune parole estranee alla mia anima. Fu questa una provvidenza amorosa di Dio che si accontentò unicamente della mia disposizione di compiere quell’atto di accondiscendenza, senza poi richiedermi la sua attuazione. È tanto buono Dio con le anime che si fidano di Lui lasciandosi maneggiare da quelli che lo rappresentano!

Vedendo il brutto risultato di quel tentativo, chiesi alla Madre di parlare con un Padre Gesuita dell’Università. Scrissi al Superiore dicendogli che avrei gradito che mi mandasse un Padre esperto e pratico di direzione spirituale, per consultarlo su alcuni dubbi. Lo mandò subito. Questa volta io ero decisa a parlare, nonostante la ripugnanza che avessi provato. Sentivo molto affetto e stima per i Gesuiti, dovuto al grande amore e devozione che avevo sempre avuto a san Giovanni Berchmans. Ci andai preparata con la mia lista. Siccome temevo che mi succedesse come le altre volte, da un lato del foglio avevo annotato alcune domande di cose materiali, nel caso che non mi fosse riuscito di parlare di cose spirituali. Questo per evitare che il Padre pensasse che l’avessi chiamato senza motivo. Essendo rimasti già tante volte frustrati i mei propositi e tentativi, temevo e tremavo…

Incominciai a dire qualcosa, ma in ogni cosa cresceva la mia difficoltà; alla fine, non riuscendo a dire nulla della mia anima, girai il mio foglietto di appunti e incominciai con domande su cose di interesse temporale. Con questo terminò la conversazione, lasciandomi come stavo, o forse con qualche dubbio in più, perché mi disse che gli sembrava che fosse il Signore che operava nella mia anima, anche se con certezza assoluta non poteva assicurarlo.

Questi dubbi mi facevano soffrire molto. Mi sembrava di essere così sicura che era il Signore che agiva nella mia anima che mi mancava solo di udirmelo confermare dalla bocca dei suoi ministri. Se mi avessero detto: «Non tema; lei stia tranquilla e ringrazi Dio per quello che fa nella sua anima», mi avrebbero lasciato più contenta di una pasqua. Ma, non era ancora arrivata l’ora di Dio. Quando giungerà, e non tarderà ad arrivare, il Signore mi manderà chi mi ripeterà le parole riferite e la mia anima, soddisfatta, non farà altro che spiegare le ali e volare serena e tranquilla per le regioni dell’amore.

Ciò va inteso non nel senso che nessuno avesse capito la mia anima e non le avesse dato la sicurezza di cui abbisognava, ma considerando che Dio permetteva così per farmi soffrire un po’ e perché il giorno in cui si degnerà di darmi un direttore, come la mia anima aveva bisogno, avessi da apprezzare maggiormente la grazia rara di una buona direzione. Senza questo motivo, ripeto, non si spiega come avessero dubbi della mia anima, che il Signore ha sempre guidato per vie così piane, semplici e ordinarie. L’unica cosa straordinaria e grande che mi chiedeva era infatti l’amore, e questo mi sembra che non è per lasciare qualcuno nel dubbio, ma è il mezzo più sicuro per avere la garanzia che l’anima è posseduta da Dio che è amore.

Quando scrissi al vescovo Volpi, gli dissi il risultato poco favorevole del mio colloquio con il P. Gesuita e la nuova pena per doverlo attribuire alla mia viltà. Mi rispose:

«Il parere che le ha dato il Padre della Compagnia di Gesù è buono, non si può dire con sicurezza assoluta se quello che succede in un’anima è opera di Dio. Basta che gli effetti siano buoni perché l’anima rimanga in pace. In lei gli effetti sono buoni, quindi non ha motivi di stare in pena».

Così lo capivo anch’io, per questo, senza più preoccuparmi né delle consultazioni né dei direttori, mi diedi con maggiore impegno ancora alla pratica delle virtù, giacché queste le potevo praticare sempre e avere così la migliore sicurezza quando la volevo.


9 «Se essa ti guida, non farai fatica; se essa ti è propizia, arriverari facilmente alla meta».

10 Cf. Ct 5, 2: «Aprimi, sorella mia».

11 «Il tuo amore con la tua grazia donami e sono ricco abbastanza».