3. Perché dovetti andare a Lucca

3. Perché dovetti andare a Lucca

 

         Non cessa di essere alquanto sorprendente il fatto che una comunità già costituita e di clausura, con persone di valore, vada a chiedere una Superiora (benché figlia della medesima comunità) in un’altra nazione e tenendo presente poi le circostanze in cui ancora si trovava la comunità di recente costituzione in Spagna. Non c’erano religiose capaci per un tale incarico? Perché chiesero a questa povera miserabile, sotto tutti gli aspetti inferiore a loro? Intravidi il motivo fin dalla Spagna da quando mi invitarano, e lo compresi perfettamente quando incominciammo a discutere la cosa.

 

Mancava l’unione dei cuori dentro e fuori

 

         Non c’era unione nella comunità. Mi affretto a dire che c’era solo disunione intellettuale e non dei cuori, perché a nessuno sorga il pensiero di disistima nei confronti di questa venerabile comunità di santa Gemma. Si trovava in uno dei momenti più difficili e straordinari. La maggior parte della colpa forse dipendeva dalla diversa opinione dei numerosi consiglieri. Quando in una comunità entrano molti pareri, come conseguenza ne deriva necessariamente la discordia. Del resto la santa Madre Chiesa, che veglia maternamente per il loro stesso bene, senza forzare la libertà, limita e raccomanda che non ci siano molti confessori, ma che tutte le religiose cerchino di ravvivare la fede e di accontentarsi del confessore ordinario.

         Quando morì santa Gemma, benché in fama di santità, i suoi concittadini di Lucca non si entusiasmarono tanto per lei. Quando il P. Germano di santo Stanislao, Passionista, pubblicò la sua vita e si conobbero tutti quei fenomeni mistici straordinari operati dalla mano di Dio in colei che avevano visto in chiesa al loro fianco e per le strade come tutte le altre giovani (perfino inferiore nella loro stima per il suo modo semplice di vestire e il suo aspetto riservato e schivo) il libro venne commentato in tutte le direzioni.4 Non mancavano sicuramente gli ammiratori, ma nemmeno i critici denigratori che consideravano esagerato e fanatico lo scrittore. Fuori della provincia di Lucca, grazie a Dio, non fu così (salvo rare eccezioni). Venne letta con ansia, fu lodata e ammirata.

         Per questa ragione i lucchesi rimasero indifferenti e freddi, privi di entusiasmo a mettersi a lavorare per la sua glorificazione. I Padri Passionisti, che ebbero tanta parte in tutto quello che riguarda santa Gemma, con il P. Germano in testa, non pensavano però così. Giudicando nel suo autentico valore quest’anima, esattamente come se fosse figlia della loro Congregazione, affrontarono con ardore le enormi fatiche richieste per una causa di canonizzazione. Quando poi, passati vari anni di lotte, di contraddizioni e spese, si avvicinò il giorno della glorificazione suprema di questa loro concittadina, allora furono molti quelli che si mossero per reclamare i loro diritti, per vedere chi potesse appropriarsi questa gloria.

         La parrocchia, dove era morta, sosteneva che i suoi resti le appartenevano. La curia arcivescovile, affermava che stava sotto la sua giurisdizione e che perciò poteva benissimo fare quello che le pareva, compresa la costruzione di una nuova parrocchia con sacerdoti che la reggessero, escludendo le Passioniste. Queste, a ragione, avanzarono pure i loro diritti per aver lavorato e speso tanto per la finalità accennata e soprattutto per una profezia della stessa Gemma che diceva: «Le Passioniste non mi hanno voluto viva, ma starò in mezzo a loro dopo la mia morte».

 

Si rendevano necessari una nuova chiesa e un nuovo convento

 

         Per ricevere degnamente la nuova santa, bisognava porre mano alla costruzione di una chiesa o di un santuario degno di lei. La cappella che le religiose avevano era stata ricavata adattando una vecchia costruzione con aggiustamenti che mostrano sempre che non era una chiesa. Neppure il convento era adatto per una tale finalità. Il motivo era che entrambe le cose erano state ricavate inserendole, come si poté, in un edificio secolare. In queste circostanze c’era chi pensava che in un convento di clausura una Santa non avrebbe potuto ricevere la venerazione che meritava, perciò era meglio trasformare il convento in parrocchia, con un cappellano indipendente dallo stesso. Altri pensavano che alla Santa avrebbe dato maggior culto la parrocchia che già esisteva; altri ancora dicevano che occorreva dare la preferenza alla parrocchia dove era morta.

         Le religiose, come si può immaginare, si formavano la loro opinione secondo quello che andavano ascoltando. Lo stesso succedeva per quanto riguarda il luogo dove avrebbero dovuto porre la loro sede definitivamente. Alcune pensavano che sarebbe stato meglio cercare un posto dentro la città (perché stavano fuori, anche se vicinissime alla porta). Altre erano del parere che invece di erigere una nuova costruzione sarebbe stato meglio acquistare un grande edificio, l’antico collegio di san Ponziano, che era in vendita e aveva la chiesa. Bastava ampliarlo, e in breve tempo sarebbe stato pronto. Ad altre spiaceva lasciare il luogo dove si trovavano sia perché conoscevano le persone che lo frequentavano e soprattutto perché lì avevano un meraviglioso orto con frutteto, un ampio terreno più che sufficiente per costruirvi sopra.

         L’Eccellentissimo Arcivescovo, che era al corrente di questi differenti pareri, giudicò cosa saggia e conveniente che a governare la comunità non ci fosse nessuna di loro, per evitare che si formassero partiti contrapposti e con questo venisse la disunione e se ne andasse la pace. Propose perciò di far venire una religiosa dalla Casa Madre. Quando la comunità lo venne a sapere, si riunì e giunse alla conclusione che nessuno come la Madre Maddalena, che era figlia della Casa, avrebbe amato e lavorato con tanto entusiasmo per la comunità. Senza dilazioni, fecero la richiesta ai Superiori firmata da tutte loro, come ho già detto sopra. La cosa non era stata pensata male, dato che, se per talento e bontà ognuna di loro era superiore a me, per quanto si riferisce all’amore disinteressato e libero da ogni idea personale, nessuno ne possedeva tanto come la miserabile che ora lo scrive, perché non aveva altro sogno che quello di ricercare il bene generale di tutte.

         Con ciò resta spiegato il motivo del mio trasferimento a Lucca e di quell’insistente richiesta.

 

Strano inizio delle opere

 

         Affinché io non avessi il tempo di formarmi un giudizio attraverso quello che mi avrebbero detto le religiose circa la progettata costruzione, il Vicario Generale, d’accordo con Sua Ecc.za l’arcivescovo, fece il piano del santuario e del monastero da costruire proprio lì dove si trovavano e dopo l’approvazione dell’architetto, si affrettarono a dar inizio all’opera con la posa della prima pietra due giorni dopo il mio arrivo. A tutto questo, c’è da aggiungere che le monache non sapevano nulla su come si sarebbero svolti i lavori, né potevano intuirlo se non per supposizioni, come esse dicevano.

         Mi resi perfettamente conto di tutto il mese successivo, quando venne pubblicata la rivista «Santa Gemma e il suo Santuario» (organo ufficiale di tutto il movimento che faceva riferimento alla Santa). Ebbi allora la notizia dei lavori iniziati e presi conoscenza del progetto della grandiosa costruzione. Ricevetti varie lettere con osservazioni e proposte di disapprovazione e di approvazione. Io non potevo disinteressarmene del tutto, perché coloro che le facevano erano gli stessi che sostenevano l’opera con offerte. Mi permisi di far presente queste osservazioni dei benefattori a Sua Ecc.za l’arcivescovo, il quale a ciò mi rispose reciso: «Per quanto si riferisce al piano del monastero non ci sono più variazioni: si deve eseguire così come sta. Nessuno deve intromettersi e proibisco addirittura che se ne parli».

         Davanti a queste parole del Superiore, non restava altro che abbassare la testa e ridurre i pareri della comunità a quelli del Superiore che così chiaramente si era espresso. Mi disse pure che, casomai sorgesse qualche difficoltà, la esponessi a lui per iscritto perché riunisse la Commissione delegata a ciò. La componevano due Padri Passionisti, un sacerdote del vescovado, l’architetto e lo stesso arcivescovo a capo come Presidente. Si trattava di una cosa che non si poteva tanto facilmente aggirare. Benedissi il Signore che così fosse e che ci dava, mediante i suoi rappresentanti, la sicurezza e la fermezza nelle nostre opere spesso così fluttuanti (specialmente nella testa delle donne), liberandomi in questo modo da non pochi dispiaceri e responsabilità.

         Molto presto, grazie a Dio, la comunità aveva ritrovato completa unità di idee, desiderando tutte con impazienza di vedere realizzato il bel progetto, il cui inizio aveva avuto luogo in giugno. Nonostante ciò, allo scopo di raccogliere fondi, si ebbe una pausa nei lavori: i mesi estivi passarono senza che gli operai lavorassero. Verso settembre mi chiamarono in parlatorio: era Sua Ecc.za l’arcivescovo, il quale, a motivo della sua devozione a santa Gemma, veniva abbastanza spesso a farle visita, perché si trovava a poca distanza dal convento. Mi inchinai con la prontezza e la venerazione che meritava la sua degna persona che mi chiamava. La sua principale raccomandazione fu: «Madre, metta subito mano all’opera; non attendano oltre». Gli feci osservare che i fondi erano molto scarsi; solo 30.000 lire. «Incominci, incominci —replicò—, Dio e santa Gemma provvederanno». Io risposi: «Mi basta che lo dica Vostra Eccellenza per sentirmi piena di coraggio e mettere subito in marcia l’opera».

         Mi sentivo molto felice che ci fosse chi mi parlava così e che potessi restare sicura che quello che facevo non era una imprudente audacia, ma la volontà certa di Dio. Nel mese di ottobre erano già al lavoro stabilmente da 10 a 20 operai, riuscendo a innalzare molto rapidamente i muri di una parte del nuovo edificio.

         Nelle conclusioni a cui erano giunti i Superiori, quando la comunità ebbe la visita canonica, c’era la disposizione del Visitatore che per tutto il tempo della costruzione non si ammettesse nessuna postulante e che le tre che in quel momento si trovavano a Lucca fossero mandate a fare il noviziato nella casa madre a Corneto-Tarquinia.

         Quelle poverette, che avevano trascorso più di un anno nel convento, quando comunicarono loro la notizia, si angustiarono e si scoraggiarono, fino a pensare di andarsene. In considerazione di questo e della necessità che la comunità aveva di personale, sapendo che erano delle buone promesse, mi azzardai a scrivere umilmente al Visitatore Apostolico, che stava a Roma. Chiesi si degnasse di fare una deroga a quell’ordine in favore di quelle che già si trovavano dentro il convento in attesa già da lungo tempo, precisando che quello era anche il desiderio della comunità. Gli assicurai che avrei trasferito il noviziato nel posto più ritirato e raccolto della casa dove non lavoravano gli operai. Mi fu concessa quella grazia, con piena soddisfazione di tutte anche se venne caricata sopra di me la responsabilità della loro formazione nominandomi pure Maestra delle Novizie. Accettai per il bene della comunità. Mi sento felice tuttora per aver aiutato due buone persone, che sono di grande aiuto al monastero. Una, la Madre N. N., attualmente è la Superiora, rieletta per la seconda volta; l’altra, Madre N. N., è stata Maestra delle Novizie con dispensa dell’età e mi pare capace di esercitare qualunque incarico per il suo giudizio così equilibrato e il suo buono spirito.

         Quando si cerca Dio, Lui solo e la sua gloria, ho conosciuto per esperienza che è facile ottenere, prima o poi, il consenso dei Superiori e non solo si ottiene quello che si chiede, come successe in quel caso, perché poi, nel vedere quanto bene era disposto il noviziato e la soddisfazione di tutte, concessero anche il permesso di ammettere tutte le postulanti che volessimo. Benedetto sia Dio, perché così ricompensa, anche in questa vita, i sacrifici che si fanno per amor suo!


4 La Madre Maddalena è contemporanea agli avvenimenti accennati, per cui ne è non solo testimone, ma anche storica. Per rendersi conto della verità di quello che qui afferma, basta leggere qualche pagina sia a proposito delle disparate reazioni suscitate dalla pubblicazione della biografia di santa Gemma da parte di P. Germano che a riguardo del Processo Ordinario di Lucca per la causa della Santa (cf. ENRICO ZOFFOLI, La povera Gemma, II ed., Scala Santa, Roma 1957, pp. 301-316; 372-376). La figura di questa Santa, mistica della tenerezza divina e maestra della cultura spirituale, non cessa di stupire il mondo.