41. Dopo la professione

41. Dopo la professione

Mentre stavo pensando come iniziare questo capitolo, ho dato un bacio al mio Crocifisso che ho davanti agli occhi; nell’accostarlo alla mia bocca mi sono venute alle labbra queste parole: «O Gesù, ti rendo grazie perché nella mia vita spirituale mi hai liberato dalle illusioni».

Sì, Gesù amore mio, a Te devo la sete di verità che sempre ho avuto e a Te pure si deve se io l’ho cercata e trovata sempre durante la mia vita.

Cercando solo la verità

Indubbiamente l’anima entra in un cammino dove più chiara brilla la verità quando vanno scomparendo le attrattive sensibili verso il bene e la virtù e segue unicamente chi ama per fargli cosa gradita e compiacerlo senza guardare al piacere e alla soddisfazione personale.

Questo sembra semplice, ma quando arriva il momento di doverlo mettere in pratica, non è tanto facile che l’anima si slanci con generosità per questo cammino per andare sempre avanti, nonostante che essa stessa comprenda che questo è il più sicuro e quello dove si trova la verità che brama.

Perciò io, così debole e miserabile, così ardente e sensibile e aggiungerei così giovane (perché quando feci la professione perpetua avevo appena compiuto vent’anni), considero una grazia grande del Signore il fatto che io ne sia entrata in modo tranquillo e di essermi lasciata condurre per il sentiero dello spogliamento delle umane soddisfazioni e dei gusti sensibili, dell’isolamento e solitudine delle creature. Quanto più mi immolavo per questo cammino tanta più fame di immolazioni e sacrifici mi veniva, per restare con il solo puro amore di Dio.

Aiuto da tutte le creature

Quando entrai nella casa del Signore ed anche prima di entrare, mi diedero molto affetto, mi volevano bene e mi stimavano molto tutte quelle che incontrai in convento. Con gli altri (superiori e confessori) avveniva lo stesso come quando ero nel mondo: non ho mai avuto nessuno che mi fosse ostile, mi hanno sempre voluto molto bene tutti e dovunque.

Il Padre confessore, Don Raffaele Cianetti, prese a cuore con tanto affetto ed impegno il bene e il profitto della mia anima e di tutto quello che riguardava il mio bene corporale e morale, che non si poteva chiedere di più. Quando gli sembrava che le sue parole potessero essermi utili, veniva al convento, sacrificandosi non poco per le sue molteplici occupazioni, oppure mi scriveva con l’interesse che abbiamo visto dalle poche lettere citate.

E il P. Germano? Di lui non c’è da parlare; più che padre era per me una madre, perché della mia anima si interessava come un santo, della mia salute si occupava come una vera madre. Solo una volta mi parlò un po’ forte e con una certa severità, ma credo che lo abbia permesso il Signore perché poi risaltasse di più la sua bontà materna. Mi aveva detto che Dio non era contento del mio modo di agire e che, se non cambiavo, mi avrebbe tolto le sue grazie. Si capisce come, all’udir questo, il mio spirito rimanesse umiliato e abbattuto. Non facevo altro che domandare perdono e misericordia al Signore. Però fu grande la mia consolazione quando poche ore dopo, mentre stavamo andando a coricarci, mi chiamò la Madre e mi disse: «È venuto il P. Germano e mi ha incaricato di dirle anche da parte di… (un’anima molto santa che lui dirigeva e che io pure conoscevo) di stare tranquilla. Gesù è contento di lei». A queste parole il mio spirito abbattuto subito si rialzò e i miei sentimenti di pentimento e di dolore si mutarono in inni di azione di grazie e di lode alla bontà divina e del suo servo, che in questa forma me la mostrava meglio. Ad eccezione di questo caso, egli era nei miei confronti la dolcezza personificata. Era pieno dello spirito di Gesù e aveva il dono di farlo sentire a quelli che gli parlavano.

Che dire della Madre Giuseppa? Ecco un’altra delle mie grandi consolazioni e uno dei miei sostegni. Sto per dire quasi il migliore, perché l’avevo sempre a portata di mano. Per quanto mi riguardava, essa era sempre in tutto d’accordo con il P. Germano. Quanto le volevo bene! Con i suoi consigli ed esempi mi guidava al Signore, indirizzando verso di Lui tutti i miei passi. Andavo da lei e le aprivo la mia anima ogni volta che qualcosa mi turbava o preoccupava, come a un padre spirituale. Il P. Germano mi aveva detto che avessi con lei la stessa confidenza che avevo con lui. Non sarebbe stato necessario che lui me lo dicesse perché, siccome l’amore produce fiducia, era davvero tanto l’amore che io le portavo. Hai fatto bene, o Gesù, a venire ad attenuare un po’ questo mio amore per lei!

Rinuncia ad ogni consolazione umana

Circondata da queste attenzioni ed affetti spirituali e materiali si sopportavano bene le austerità e le privazioni della vita religiosa. Nonostante tutto fosse buono e santo, non lo era però perché la mia anima avanzasse nel cammino del puro amore dove il Signore voleva condurmi. Ero sposa di Colui che, per amore nostro, rinunciò ad ogni consolazione e si sottomise all’abbandono del suo divin Padre nel momento in cui stava per consegnargli il suo spirito sulla croce. Ero la sua sposa, ripeto, e dovevo assomigliare a Lui in qualcosa, poiché l’amore (come dice san Francesco di Sales) chiede la somiglianza e, se non la trova, la crea.

A poco a poco, o meglio, in brevissimo tempo, questi sostegni e consolazioni (benché tanto santi e nonostante che sembrassero necessari) scomparvero e dovetti continuare il mio cammino dietro lo Sposo in pura fede e senza l’appoggio delle creature che fino ad allora avevo avuto. Il Signore non volle servirsi di loro, e quando Lui non vuole, esse non possono nulla.

Nel mettermi in questo cammino, il maggior sostegno che mi diede fu una segreta attrazione per seguirlo sola e distaccata da tutto, abbandonata esclusivamente in potere di quell’Amante che, anche se non lo conoscevo ancora bene, capivo che era l’unico del quale l’anima si può fidare completamente.

Il Padre confessore, Don Raffaele, al quale avevo aperto la mia anima da quando entrai in convento e le cui parole infondevano in me un sollievo e consolazione speciali (effetti che io attribuisco al suo tenero ed ardente amore a Maria, poiché sembrava che rendesse con il semplice nominare questa dolce Madre più facile la pratica di quello che insegnava); questo santo uomo —ripeto— dal quale la mia anima si attendeva tanto come pure la nascente comunità, che lui amava molto, al Signore piacque togliercelo e portarlo, dopo alcuni mesi di malattia, a ricevere il premio del suo grande zelo, specialmente nel propagare l’amore e la devozione alla sanissima Vergine, sotto il titolo di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù. Morì santamente, come era vissuto, il 21 dicembre 1908. Si disse che avesse avuto un Purgatorio breve, ma che soffrì molto in poco tempo poiché si trovava lontano da Colei che tanto amava e desiderava vedere: la santissima Vergine, sua dolce Madre.

Il vescovo Mons. Volpi, ho già detto che se n’era andato da Lucca per la diocesi di Arezzo; ormai io non potevo più incontrarmi con lui.

Il P. Germano, che in quel tempo era colui che più si interessava per il mio profitto spirituale e che dava alla mia anima le sicurezze di cui aveva bisogno, risiedeva a Roma. All’inizio, quando entrai in convento, era solito venire a Lucca abbastanza frequentemente per le questioni di Gemma Galgani, poiché raccoglieva gli appunti e prendeva le informazioni per scrivere la sua vita e introdurre la sua causa. Appena ebbe terminato questo lavoro e anche a causa della sua salute minata, veniva rare volte. Anch’egli ormai era prossimo ad essere chiamato da Dio per ricevere il premio delle sue grandi fatiche. Morì a Roma, in concetto di santità, l’undici dicembre 1909. Quanto dolorosa fu per me questa perdita! La mattina di quel giorno, quando per telegramma ci comunicarono che egli era grave, in diverse religiose chiedemmo il permesso alla Madre di offrire al Signore alcuni anni della nostra vita. Andammo subito in coro; una offriva 5 anni, un’altra 10, insomma quello che Dio voleva. La nostra offerta non fu però accettata. Giunse presto il telegramma, trafiggendo di dolore il cuore di tutte, con l’annuncio della sua morte.

Mi rimaneva la Madre Giuseppa. Indubbiamente lei sarebbe bastata per riempire il vuoto che lasciavano nella mia anima le persone sante delle quali il Signore mi aveva privato. La Madre, lo ripeto, era per me confessore, direttore spirituale, tutto; le avevo confidato le cose più intime della mia anima e vedeva i miei atti esteriori; tutto le era manifesto. Era stata mia Maestra ed era mia Superiora, potevo stare completamente tranquilla con le sue parole, ma forse l’amavo troppo e Dio volle moderare quel mio amore con una delusione.

Un giorno andai a domandarle qualcosa intorno al mio spirito.Mi rispose come infastidita: «Consulti qualche Padre spirituale, io non posso. Scelga quello che vuole e si accordi con lui, io non posso più occuparmene. Ho tante cose a cui pensare!»…

In altri tempi forse queste parole non mi avrebbero prodotto una così grande impressione, ma allora, poiché penso che fosse quello il mezzo del quale si serviva il Signore, mi fecero una tale impressione che mi penetrarono l’anima e il cuore, che già provava altri vuoti. Sembrò che mi chiudessero una porta che fino allora era servita di passaggio delizioso per andare al Signore. Però Dio mi diede la grazia. Il suo amore, che così disponeva, in me era più forte di quello di tutte le creature, nonostante che alcune di loro le amassi molto.

Ad ogni scossone che Dio dava al mio cuore io rispondevo con un altro dato con la mia volontà: «O Signore —dissi—, lo volete tutto? Prendetelo allora; voglio darvelo e ve lo dò senza alcuna riserva». Per seguire il consiglio della Madre, chiesi a lei stessa di suggerirmi a chi secondo lei fosse conveniente affidare la direzione della mia anima. Era del resto molto semplice e se non me l’avesse consigliata lei, forse non l’avrei cercata perché non ne sentivo tanto la necessità. La santa Regola e i miei Superiori erano tutto per me. Comunque pensavo che un Direttore avrebbe pure potuto essermi di molto aiuto e dati i desideri di santità che avevo, mi sembrò che dovessi servirmi di tutti i mezzi per raggiungerla, e quello della direzione spirituale è uno di questi, quando Dio lo vuole, perché se Egli non dispone così, per qualche anima il Direttore può addirittura essere un impedimento.

In cerca del Direttore spirituale

La Madre Giuseppa mi propose diversi Passionisti. Tra tutti preferii il P. Ignazio di santa Teresa,63 sembrandomi di indovinare tanto più che era il direttore della stessa Madre e perché avevo sentito lei ed altre lodare molto le sue virtù non comuni. Era venuto diverse volte a predicare in convento e mi ero confessata da lui, lasciandomi sempre l’impressione che fosse un’anima tutta di Dio.

Gli scrissi chiedendogli la carità della sua direzione. Mi rispose, umile com’era: «Da parte mia non rifiuto di aiutarla, ma —aggiungeva— chissà se la Madre si fiderà di me?». Gli risposi che la Madre non solo si fidava, ma che era anche contenta di lui, e che lei stessa mi aveva detto che se seguivo i suoi consigli, essa restava del tutto tranquilla del mio profitto spirituale.

Incominciai, quindi, a scrivergli con una certa frequenza, più o meno una volta al mese. Approfittavo dell’occasione quando gli scriveva la Madre e soprattutto le poche volte che durante l’anno era solito venire al convento per rendergli conto della mia anima. Ogni volta che parlavo con lui lo trovavo sempre più santo e virtuoso. Era un religioso di vita interiore, di poche parole, umile, mortificato, pieno di spirito religioso. Non uscivano mai dalla sua bocca certe espressioni che a volte certi padri spirituali dicono per attirare le anime e per renderle contente. Egli non dava loro nient’altro che Dio. Perciò era sempre grave nelle sue parole, serio e rispettoso. Sotto questo aspetto mi piaceva molto perché le leggerezze, le tenerezze e i sentimentalismi non mi sono mai piaciuti in persone spirituali e meno ancora in quel tempo.

Ma nonostante tutto, il Signore non gli concesse il dono di conoscere la mia anima. Quanto soffrii nei cinque o sei anni che lui la guidò. Soffrivo perché, vedendolo così santo, volevo modellarmi ai suoi insegnamenti e non potevo. Credo che lui non abbia capito il cammino per il quale il Signore mi conduceva, né la missione di amore che Lui mi affidava. Tutto il suo lavoro e la principale raccomandazione consisteva nell’insistere perché io permanessi nella pratica della virtù religiosa. Ripeteva sempre: Obbedienza, carità, umiltà, fedeltà al dovere… Di tutto questo io mi vedevo indubbiamente molto bisognosa, ma avevo necessità anche di altre cose. Quello che mi mancava era qualcuno che mi lanciasse nel cammino dell’amore: questo sì avrebbe dilatato di più il mio cuore per correre e progredire nella virtù e non soltanto lo stare ad insistere sopra di esse a forza di braccia. Mi sentivo e vedevo così debole e miserabile!

Da alcune lettere che a suo tempo riporterò, o da qualche brano delle stesse, si vedrà come questo santo religioso mi guidava e come io rimanevo, alla fine della lettura delle sue lettere, sempre uguale a chi finisce di mangiare senza saziarsi.

Io, per esempio, gli rendevo conto di come il Signore mi attirava e mi invadeva con la sua presenza, come illuminava il mio intelletto e muoveva la mia volontà a desiderare cose grandi per la gloria di Dio e al suo servizio. Lui, vedendomi senza la virtù che gli sembrava necessaria per questo, sempre o quasi sempre, mi frenava in tali desideri e mostrava di non farci caso, insistendo una volta in più sulle virtù e non lasciandomi trasportare da quelle attrattive che a me sembravano del Signore.

Mi succedeva a volte di passare giorni molto unita al Signore, in straordinario raccoglimento e pace, ma con il desiderio di dare e di ricevere di più dal mio Dio. Lo scrivevo al Padre e lui mi rispondeva:

«Le ricordo quello che sempre ho detto: faccia le cose con tutta calma, resti con i piedi a terra, contenta di andare avanti passo per passo e così sarà sicura di arrivare, anche se fosse a passo di formica. Non deve dare ascolto a certi pensieri che sembrano presentarsi sotto l’aspetto di virtù. Si ricordi che tutto quello che è fuori dalla Regola e si presenta a lei fuori dal cammino ordinario di una Passionista, non merita che ci faccia caso, perché non viene da Dio».

Quando ricevevo queste lettere, io le leggevo con la venerazione ed il rispetto con il quale solitamente facevo con quelle dei ministri di Dio, ma ancora di più quelle di colui che io avevo scelto per conoscere per mezzo suo la volontà di Dio. Mi mettevo in ginocchio e ravvivavo la fede che era Dio che mi parlava, ma terminato di leggere la lettera, mi sentivo come se mi avessero messo una lastra fredda sul cuore e che qualcuno mi dicesse: «Scendi, scendi: non è quello il tuo posto, non sono sicuri quegli ardori, quegl’impeti del tuo spirito»… Questo mi succedeva quasi sempre. Lo offrivo al Signore e cercavo di darmi con più impegno alla pratica della virtù, anche se soffrivo, perché il mio spirito era come imprigionato e nessuno, se non la parola del ministro di Dio poteva liberarlo.

Gli ardori dell’amore divino

A volte, leggendo le sue lettere, pensavo: «Se il Padre invece di dirmi quello che ho appena letto mi avesse detto: «È il Signore, non tema! Si abbandoni senza paura alle attrattive del suo amore, con umiltà e gratitudine e si aspetti ancora molto di più da un Dio così buono che è morto per noi e si è fatto nostro cibo». Se mi avesse detto questo, con la fede viva che io avevo nelle sue parole, sarebbe stato, mi sembra, come un fuoco divampante che avrebbe incendiato la mia anima e l’avrebbe fatta non camminare, ma volare per le vie del Signore».

Verrà un tempo in cui Dio invierà uno che mi parlerà in quel modo, ma prima dovranno passare anni di grandi brame di Dio, di sofferenze di non poter bere con la sicurezza di cui avevo bisogno l’acqua di Colui che ha detto: «Chi beve dell’acqua che io gli dò, non avrà più sete» (cf. Gv 4, 13-14).

Qui vorrei poter far capire a tante anime quello che vale, quando arrivano a questo punto della vita spirituale in cui l’amore incomincia a voler essere il solo e senza rivali, quanto sia importante la generosità e il riconoscere in questi spogliamenti la mano del Signore, per quanto la natura imperfetta possa temere.

In questi stati devono servire di appoggio all’anima la fede e l’amore. L’anima si faccia un po’ di violenza, perché non è ancora arrivato il soffio soave dello Spirito Santo che fa tutto. Abbia presente che nessun appoggio o aiuto spirituale, per quanto santo, è necessario in senso assoluto nel cammino della santità. Solo Dio basta. Ci sono periodi e momenti in cui Dio esige e l’anima necessita di queste prove per esercitare questa fede nel suo amore. Mille volte beato chi si abbandona e rimane fedele a quell’Amante geloso, che vuole essere solo a ricevere gli affetti di quelli che si abbandonano a Lui!

Come mi comportai in queste prime prove dell’amore? O Gesù, non oso risponderti in maniera assoluta. Con la luce che ora mi dai, non vedo che imperfezioni e piccolezze, ma allora forse la tua grazia non mi chiedeva di più. Sarei potuta essere, senza dubbio più generosa, più fedele, ma è anche certo che non dubitai neppure un istante. Continuai a seguirti lo stesso, sempre assetata del tuo amore, offrendoti volentieri le mie sofferenze negli abbandoni e nelle delusioni delle creature. Forse temetti un poco nel rimanere senza quei passatempi (li chiamo così, perché ora questo mi sembrano essere gli appoggi delle creature), sì, passatempi perché, anche se non succede sempre così, il più delle volte trattengono l’anima e non la lasciano correre quanto è necessario, perché noi sue povere e miserabili creature possiamo seguire questo grande gigante: Gesù, il suo amore eterno, infinito.

Ora comprendo che, se non ti sono stata infedele, o amore mio, neppure però apprezzai tanto come dovevo quel prezioso operare della tua mano divina in questa povera anima debole e ammalata. Ma grazie, mille volte grazie, o Gesù, perché, non facendo attenzione alla mia debolezza e fragilità, hai continuato il lavoro o l’azione necessaria in questo povero cuore che voleva appartenerti senza riserva. Nonostante sentissi la debolezza, volevo infatti e acconsentivo di venir trattata come a te era gradito, o mio padrone adorato!

DOPO LA PROFESSIONE

Passarono i giorni del tenero amore.

Per altro cammino portommi il Signor

Dal giorno felice che, innanzi all’Altare,

Degnossi il Diletto quest’alma sposare.

Ché a Lui mi strinser legami gelosi,

D’indissolubili nodi preziosi.

Oh, da quel giorno, quel tenero Amante

Mi chiese un amore più forte e costante:

Di giovane sposa lasciare le carezze,

Delle sue spine cercare le dolcezze,

Sopra le spalle mi pose quel legno.

D’unica speme, d’amor qual pegno,

Un segno divino posò sul mio cuore,

Dov’era scritto il bel nome d’amore.

In questo nome io combatto da forte,

Non temo il nemico, non temo la morte:

Gesù sul mio braccio, Gesù sul cuor mio,

O santo Nome di Sposo, di Dio!

Ed or mi resta quell’orme divine

Calcar da forte, raggiunger le cime.

Sull’orme che impresse quel forte Gigante

Con Lui al Calvario salire esultante.

Mi elessi per guida dell’aspra giornata

La Vergine santa, Maria Addolorata.

«Tu che pura e innocente Maria

Battesti da forte per prima la via;

Quando io vedo i tuoi occhi tra’l pianto

Tutto posso, a Te Madre d’accanto;

Tutto posso, ripete mia voce,

In Colui che per me vedo in Croce».


63 Riportiamo alcune notizie su questo padre, che ha avuto una sua importanza nella vicenda di santa Gemma e del monastero delle Passioniste a Lucca, soprattutto nella direzione spirituale di Madre Giuseppa Armellini e di Madre Maddalena Marcucci (cf. Lettere di S. Gemma, Roma 1941, pp. 397-399, nota 1). «Il P. Ignazio di S. Teresa fu un vero Servo di Dio. Nacque a Selva Malvezzi (BO) il 9 novembre del 1849 da Francesco Vacchi e Maria Signani ed ebbe al battesimo il nome di Giulio. D’indole mite ed inclinato alla virtù fin da fanciullo, entrò giovanetto nel seminario arcivescovile di Bologna, dove compì tutti i suoi studi con comune edificazione. Ordinato sacerdote il 26 maggio 1872, fu mandato come cappellano a S. Apollinare di Serravalle e vi diede subito belle prove di zelo sacerdotale per la salute delle anime. Sentendosi chiamato a vita più perfetta, con l’approvazione e il consiglio dell’Em.mo Card. Parocchi, arcivescovo di Bologna, abbracciò nel 1878 l’umile Istituto dei Passionisti, prendendo il nome di P. Ignazio di S. Teresa. Compì l’anno di noviziato nel ritiro dell’Angelo presso Lucca ed ivi professò i santi voti il 31 agosto 1879. Nella Congregazione Passionista occupò quasi tutte le cariche, da Maestro dei novizi fino a Consultore Generale. Anzi, se si eccettuano gli ultimi anni della sua vita, nei quali, sentendosi inabile al governo, pregò ed ottenne di esser lasciato libero, si può dire che egli fosse sempre superiore. Ardente di zelo apostolico, si applicava nello stesso tempo alla predicazione, sia nelle Missioni, in cui ordinariamente faceva la parte di catechista, sia negli Esercizi spirituali ad ecclesiastici e a comunità religiose. Il suo modo di esporre facile e chiaro, ravvivato da opportuni esempi ed unito ad una soave unzione, attirava gli uditori e s’imprimeva facilmente nella memoria. Le sue meditazioni poi sulla Passione di Gesù Cristo, che egli faceva con cura tutta speciale, intenerivano i cuori e li accendevano di santo amore verso l’amantissimo Redentore. Il P. Ignazio fu un vero modello di religioso Passionista, imitatore fedele di san Paolo della Croce. In lui si videro risplendere tutte le virtù, ma particolarmente un’aurea indifferenza, frutto di perfetta conformità alla volontà di Dio, per cui passava con naturale disinvoltura dalle cariche più alte ai più umili uffici, come quello di portinaio, che disimpegnava volentieri negli ultimi anni della vita. Esperto direttore di anime, molte persone religiose e secolari guidò nelle vie della perfezione. Morì in Roma, nel Ritiro dei SS. Giovanni e Paolo, il 12 giugno 1927, in odore di santità». Per quel che riguarda le sue relazioni con santa Gemma, dobbiamo rilevare che il P. Ignazio fu uno dei Padri Passionisti che predicarono la santa Missione nella chiesa cattedrale di S. Martino a Lucca dal 25 giugno al 9 luglio 1899 e fu proprio lui il religioso che Gesù indicò a Gemma per invogliarla ad indossare l’abito della Passione. A lui pure, prima che ad ogni altro, si diresse la Santa per fare la sua Confessione, anche se poi preferì confidarsi con P. Gaetano.